Silvio Castiglioni a Cattolica con "I Persiani" di Eschilo
Al salone Snaporaz di Cattolica va in scena questa sera dalle 21 “I persiani di Eschilo. La tragedia più antica del mondo” con Silvio Castiglioni, i canti di Marina Moulopulos e il sound designer Gianmaria Gamberini. Un monologo emozionante che conduce il pubblico nell’Atene dell’epoca d’oro, ancora segnata dalla guerra appena finita. Fondamentale il tocco de I Sacchi di Sabbia per lo spazio scenico e la regia, mentre la traduzione è a cura di Francesco Morosi.
Castiglioni, da dove nasce l’esigenza di portare in scena questa opera?
«Nasce in primo luogo dall’interesse che io e Giovanni Guerrieri dei Sacchi di Sabbia abbiamo per l’antichità. Due anni fa ho portato in scena la “Medea” di Euripide, ma di Eschilo avevo timore. Il fatto che Giovanni però me l’abbia proposto mi ha dato coraggio. Loro come compagnia hanno allestito invece la commedia più antica del mondo, “Gli arcanesi” di Aristofane, e stiamo valutando l’ipotesi di presentarle una dopo l’altra in qualche cornice. Un po’ come facevano gli antichi greci».Di cosa parla la tragedia?
«Quando nel 472 a.C. ad Atene viene rappresentata la tragedia più antica del mondo, “I persiani” di Eschilo, sono passati appena otto anni dalla guerra combattuta dagli ateniesi contro l’esercito di Serse che ha invaso l’Attica e distrutto la città. Alla fine gli ateniesi avevano annientato l’aggressore nella battaglia navale di Salamina, ma le ferite di quell’attacco recente erano ancora aperte e ben visibili a tutti. Con un sorprendente rovesciamento di prospettiva, Eschilo – che secondo i racconti antichi aveva combattuto a Salamina – abbandona ogni trionfalismo e ambienta la vicenda a Susa, la capitale persiana. Gli anziani cittadini rimasti e la madre del re sono in preda all’angoscia perché l’esercito è ancora lontano in guerra e non se ne sa niente. E quando finalmente, dopo l’arrivo della notizia della catastrofe che ha travolto i persiani, compare in scena Serse, il Gran Re, di ritorno a Susa dalla disastrosa spedizione in Grecia, Eschilo lo presenta agli ateniesi come un reduce miserevole, degno di pietà, inducendo gli spettatori a commuoversi per il suo dolore».Quali espedienti la aiutano in scena?
«Ci sono i canti meravigliosi di Marina Mulopulos e le musiche di Gianmaria Gamberini, poi come un burattinaio muovo una serie di oggetti in un ambiente che ricorda molto De Chirico. Ma nulla è in primo piano, nemmeno l’attore. I versi di Eschilo, tradotti da Francesco Morosi, si posano su volumi metafisici, mute pedine mosse su un tavolo-palcoscenico, unico elemento scenografico. Ne nasce una miniatura, che ci restituisce un Eschilo in purezza in cui riecheggiano più forte che mai i suoi antichi inviti: primo tra tutti considerare l’altro, anche quando è il nemico, come una parte di noi stessi. Di Eschilo ammiro molto le sinestesie, l’uso di verbi inusuali e la capacità di creare immagini di grande potenza poetica. Dagli studi sappiamo inoltre che fosse un abile coreografo».Info: 0541 960456