Santarcangelo festival 2023: un bilancio
Quando la diversità si fa omologante. Potrebbe essere l’evidenza veicolata dal 53° Santarcangelo festival che proprio della battaglia contro le disparità di genere e i razzismi ha fatto la sua bandiera, imbastendo uno sguardo critico verso il sociale e il politico, supportato dal claim “Enough not enough” (abbastanza non abbastanza). E in molti si chiedono: ma è poi vero che non è ancora abbastanza? Se nell’universo artistico da qualche tempo internazionalmente è il codice visivo della body art il fil rouge da dover dire e ribadire, da dover dimostrare e mostrare, è ancora necessario insistere o è possibile guardare anche altrove? L’esigenza di posare l’attenzione sul corpo oggetto artistico è ancora così pressante?
Il festival si è chiuso con un bilancio positivo e numeri importanti, dalle presenze alle frequenze. Sono stati dieci giorni di programmazione intensa e senza intoppi organizzativi, a dispetto della fragilità economica e logistica che la recente alluvione aveva aggravato, costringendo alla rinuncia di significativi spazi all’aperto in centro storico e nel parco. Le soluzioni adottate hanno evidenziato che questa macchina funziona nonostante tutto. A cominciare dal suo direttore, l’infaticabile Tomasz Kirenczuk, che ci mette la sua professionalità e il suo fortissimo impegno, con una volontà, una determinazione indefesse, e una cura e un’attenzione per gli artisti rare da incontrare, segnalata all’unisono. E poi c’è lo staff, gli stagisti, i volontari, i tecnici, decine di figure che in ogni ora del giorno hanno fatto funzionare gli ingranaggi per ospitare quotidianamente diverse decine di persone tra artisti e operatori, e per mettere in scena ciò che il pubblico vede, oltre 100 appuntamenti.
Ecco, se da un lato la manifestazione ha tenuto nonostante gli scossoni esterni, ogni anno sempre dietro l’angolo, dall’altro è lo stato dell’arte a evidenziare una realtà che pone tanti interrogativi. L’analisi delle proposte artistiche e dei loro contenuti offre molteplici spunti. Si plaude all’internazionalizzazione del festival, con nomi che spaziano da un continente all’altro, alcuni noti, acclamati e premiati nei festival mondiali più prestigiosi, da Venezia a New York, altri emergenti ma non meno incisivi e spesso esplosivi. E si approva la cospicua presenza femminile che l’altro sesso, anche nell’universo performativo, tende a sopraffare. Citiamo la superba Catol Teixeira, le inarrivabili Rebecca Chaillon e Aurore Deon, le singolari Giorgia Nardin e Emilia Verginelli, la eclettica Anna Pi.
Riguardo agli artisti, un fenomeno da analizzare è quello delle presenze singole, sempre tante, sole con la loro ricerca identitaria. Senza dubbio a Santarcangelo le economie non permettono la presenza frequente di compagnie numerose e allestimenti impegnativi, dunque le individualità sono una necessità Talvolta queste però, in concomitanza con assenza di scenografia, costumi, costruzione scenico-coreografica, hanno lasciato un vuoto drammaturgico e/o strutturale legato ai contenuti delle proposte. In molti altri casi al contrario l’originalità dell’evento e il talento dell’artista hanno sopperito alla povertà scenica e anche solo pochi elementi sono stati sufficienti a offrire emozioni, basti citare la compositrice Agnese Banti che ha dimostrato come la voce crei anche una coreografia. O Nach, la danzatrice e coreografa francese che ha fatto della mirabile didattica, attraverso il corpo eloquente e la parola poetica, la sua cifra espressiva. E si aggiunga la potenza di Mélissa Guex in piazza che, col suo magnetismo al ritmo delle percussioni, non ha bisogno di null’altro.
Altri nomi si possono fare ma tornando ai contenuti un altro aspetto andrebbe approfondito ed è quello che ci suggerisce la parola performance. Perché è così abusata? Cosa ci sta dentro? E come sta dentro un festival come questo? Dagli anni Settanta, nei decenni, la ricerca ha condotto alla fluidificazione dei confini tra singole arti e a sperimentazioni in ogni ambito, così sono spariti i confini tra danza, teatro danza, happening, dimostrazione, protesta, interazione, azione programmata, sovente nata in e per musei e gallerie. L’arte si è fatta così facilmente riconoscibile e usufruibile come dimostrano gli applausi e come ci ha insegnato a fare l’intrattenimento in televisione. La società di oggi esprime un’arte da consumare ovunque e velocemente, e il pubblico pare essersi adeguato. Ma ci saranno altre strade da sperimentare?