Rimini, l'avvocato Maresi e il Covid: "Vivo ogni giorno come un compleanno"

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«Vivo ogni giorno come fosse il mio compleanno. La paura di morire? La scopro solo adesso che tutto è alle spalle, ma trovarsi a un passo dalla fine ti fa capire ciò che è davvero importante, ti porta a vedere meglio le cose: all’improvviso diventano più belle di prima, la vita stessa appare più bella».
Moreno Maresi, avvocato, vicepresidente della squadra cittadina di basket Rbr, una bella famiglia, all’improvviso si è scoperto vulnerabile quando era all’apice del successo, corteggiato perfino dalla politica.
Si è ammalato di Covid e nel giro di una manciata di giorni e si è trovato in bilico tra la vita e la morte per tre settimane, intubato nel reparto di Rianimazione. Passeggiando per Rimini, accetta di parlare della malattia.
«La fragilità? L’ho realizzata a posteriori. Non so se è stata una fortuna o una sfortuna però in quei momenti non ho avuto il tempo di avere paura. Il Covid è subdolo, imprevedibile. Tutto è precipitato all’improvviso: perfino quando sei già in ospedale pensi che a te non possa capitare niente di grave. Ero tranquillo, mai avrei pensato a uno sviluppo così drammatico». Passa un pensionato in bici: “Ciao Moreno!”.
Il pensiero va a chi non ce l’ha fatta, ai familiari ai quali è stato negato anche l’ultimo saluto, quasi mille morti soltanto a Rimini e provincia. «Per quanto mi sforzi ho solo un vago ricordo del mio ingresso in Rianimazione, ma è tutto confuso. Poi il buio. Buio assoluto. Invece ho un ricordo nitido del risveglio e del primo respiro cosciente: il ritorno alla vita. A luglio, quando ho compiuto gli anni, stavo meglio ma ero ancora all’Infermi. Quel giorno mi sono ripromesso che una volta fuori di lì, lo avrei festeggiato. In realtà ho fatto qualcosa in più: mentalmente, infatti, adesso vivo ogni giorno come fosse il mio compleanno». Il ritorno alla normalità non è stato semplice. «Ero dimagrito, affaticato, svuotato di energie, temevo conseguenze sulla memoria. Per fortuna ora è tutto tornato come prima, bicicletta compresa. In ospedale ero annebbiato, come anestetizzato: c’è voluto del tempo per metabolizzare, riflettere e capire che cosa mi fosse successo. Mi ha aiutato leggere il diario che una persona ha tenuto sulle mie condizioni mentre ero ricoverato, scorrere a uno a uno i messaggi di solidarietà lasciati in mia assenza». In piazza Cavour c’è troppa gente, meglio evitare gli assembramenti: l’aperitivo può attendere. Poco più avanti, in via Sigismondo Malatesta, gli si fa incontro a braccia spalancate Pierleone Fochessati, magistrato e galantuomo: ha gli occhi lucidi e lo abbraccia. Un gesto che vale più di mille parole. «Ecco, vedi? A raccontarlo è da non da crederci: sono stato travolto dall’affetto, in senso positivo. A cominciare dal personale in ospedale, di grande livello professionale e umano. Una molla incredibile. Non scorderò nessuno di chi mi ha testimoniato vicinanza, anche con un semplice sorriso. Tutto questo mi dà una grande carica, una voglia di autenticità, e mi riprometto di restituire agli altri, in particolare ai giovani, l’energia che mi viene trasmessa. Un impegno che si traduce in maggiore attenzione al territorio e alla comunità: non siamo altro che una grande famiglia allargata». Un collega avvocato si avvicina e gli presenta la moglie che non vuole vaccinarsi. “Dille qualcosa tu”. «Ripeto a tutti la stessa cosa – spiega Maresi -. E cioè che nessuno di quelli che erano in terapia intensiva con me era vaccinato, mentre io avevo appena fatto la prima dose ed ero ancora privo di copertura. Ciascuno può trarre da solo le conseguenze». Ora è tempo di guardare avanti, ma qual è stata l’ultima volta che ha pèianto? «Complice mia moglie, una volta tornato a casa, ho ricevuto la visita a sorpresa degli amici del basket, una delegazione di giocatori, dirigenti e tifosi per la consegna di una maglia personalizzata. A ripensarci mi viene ancora il groppo in gola. Per me è fondamentale l’insegnamento dello sport: lo spirito di squadra è un concetto che ho appreso da Alberto Bucci, grande uomo e grande allenatore». Guarda caso la squadra si chiama Rinascita. «Nome evocativo, col senno di poi dico che scegliemmo bene. Sono affezionato a quel termine, Rinascita, specie dopo quello che mi è successo e ho dovuto superare».

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