«La ricerca ossessiva di cibi sani è un nuovo disturbo dell’alimentazione». Sempre più spesso il cibo diviene un mezzo per gestire stati d’ansia, paure o tristezza ma anche per punirsi o gratificarsi. Dietro i disturbi dell’alimentazione si cela infatti un disagio psicologico. Ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta Laura Balzani.
Dottoressa Balzani, che impatto ha avuto la pandemia sui disturbi alimentari?
«La pandemia ha esacerbato il quadro dei disturbi dell’alimentazione con un incremento dal 30 al 36% delle diagnosi annuali ma anche un abbassamento della fascia di insorgenza. Cifre che peraltro non considerano il sommerso, cioè sia le prestazioni di professionisti privati, sia i casi che non giungono all’attenzione dei servizi socio sanitari, né del medico di famiglia né tantomeno del consultorio. Già così i servizi di neuropsichiatria infantile o di psichiatria per adulti sono al limite del collasso, oberati di richieste in crescendo. Dati alla mano, il 17% delle persone ha riferito una riduzione dell’appetito in pandemia, il 34% un aumento mentre il 48% ha percepito di aver preso peso. Centrali nell’inasprirsi dei disagi sono stati l’isolamento sociale forzato, i cambiamenti drastici nella routine quotidiana, ma anche la perdita di punti fermi e l’eccessivo tempo a disposizione per concentrarsi sulla propria immagine, spesso in modo ripetitivo e ruminante. Ma non solo: nel lockdown il cibo è stato al centro della quotidianità, tra ricette e preparazioni in cucina, mentre la permanenza forzata a casa alterava le abitudini alimentari conducendo spesso a pasti poco strutturati, o a base di cibi poco salutari. Alle criticità si è aggiunta la difficoltà di accesso alle cure, oppure ai contatti con i professionisti a percorso terapeutico già avviato».