Ravenna, processo Molducci: "Il dottore voleva recuperare i soldi"

Quando, alcuni mesi prima di morire, il dottor Daniele Molducci contattò l’avvocato Carlo Zauli, lo fece con un obiettivo preciso: «L’incarico era recuperare le somme di denaro che riteneva gli fossero state sottratte dal figlio». Ad affermarlo davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Michele Leoni è lo stesso legale, uno dei testimoni del processo che vede accusati di omicidio il figlio del medico scomparso a 67 anni a Campiano il 28 maggio 2021, Stefano Molducci, 40 anni, e la badante 52enne Elena Vasi Susma. La teoria della Procura, argomentata in aula dal sostituto procuratore Angela Scorza, è che i sovradosaggi di psicofarmaci rilevati nel corpo di Molducci siano stati somministrati dai due a più riprese con l’obiettivo di uccidere l’uomo, la cui salute era già debilitata. E il movente sarebbe stato di natura economica, perché di soldi, dai conti correnti del medico, ne erano già spariti tanti, «milioni», almeno secondo quanto ha raccontato l’avvocato Zauli citando i dialoghi con il suo cliente, descritto come «determinato contro il figlio, forse dopo avere molto tollerato». Una determinazione, quella tratteggiata dall’avvocato, che si sarebbe inserita in un contesto di tensioni familiari più ampie: «Molducci aveva una concezione molto negativa del figlio - ha detto Zauli - perché non si era laureato in medicina. Diceva che Stefano viveva alle sue spalle anche attraverso metodi non appropriati». Un quadro su cui i professionisti incaricati volevano quindi fare luce, anche per evitare di avviare cause azzardate: «Il dottore era una persona assolutamente razionale - ha proseguito il legale -. Dopo un primo contatto, fissammo altri due appuntamenti, il 27 e il 29 gennaio 2021, cui si presentò un collega del mio studio. Iniziammo a scrivere alle banche con cui aveva rapporti Molducci per capire se quel denaro fosse stato sottratto. Arrivò una montagna di documenti, e le operazioni ci risultavano sempre in perdita». È a quel punto che nello studio legale sorge un dubbio: «Perché reiterare operazioni di questo tipo? Dovevamo fare ulteriori accertamenti per capire la destinazione di quelle somme». Da qui la decisione di affidarsi a «un perito», l’investigatore trentino Samuel Suelotto. Perché lui? «Aveva la possibilità di ricorrere a un sistema di intelligenza artificiale israeliano estremamente avanzato»: grazie all’algoritmo, ha spiegato il teste, l’esperto avrebbe potuto tracciare il percorso delle operazioni finanziarie compiute dal figlio di Molducci e capire se vi fosse stata «dissipazione» del milionario patrimonio paterno. L’incontro tra l’investigatore e il medico, tuttavia, non avvenne: anche l’avvocato Zauli ha riferito che, quando Suelotto chiamò a casa di Molducci la mattina del 28 maggio per parlare di un appuntamento fissato al giorno successivo, la badante gli avrebbe risposto che l’uomo «non era disponibile». Di lì a poco si sarebbe saputo della sua morte. A quella data, ha affermato Zauli rispondendo al giudice, «eravamo convinti che ci fossero già delle prove, ma servivano altri approfondimenti» sui movimenti del denaro. Fu lo stesso Stefano Molducci a chiedere, subito dopo la morte del padre, un riscontro diagnostico sul cadavere «per escludere che qualcuno potesse pensare che vi fossero altre cause» del decesso oltre a quelle naturali: a raccontarlo ieri mattina in aula è stato il medico legale Gabriele Armuzzi, in servizio presso la medicina legale di Ravenna quando il 67enne fu trovato senza vita nella sua abitazione di Campiano. La testimonianza fa riferimento a una conversazione telefonica avvenuta tra Armuzzi e l’imputato dopo che il medico di famiglia - sua la firma nel certificato di morte - aveva esposto al collega tale intendimento. «Scambiai qualche opinione con la dottoressa - ha spiegato Armuzzi - anche perché la nostra direzione deve esprimere un giudizio sull’appropriatezza delle richieste di riscontro diagnostico. In quel caso mi sembrava che mancasse. Le patologie di cui soffriva Molducci, elencate nella certificazione, giustificavano un iter clinico fino al decesso». La risposta del medico di famiglia sarebbe stata appunto che «è il figlio che vuole questa cosa». E così medico legale e Stefano Molducci si parlarono: «Mi disse le stesse cose che aveva anticipato la dottoressa - ha proseguito Armuzzi -. Per spiegare il perché di tale richiesta fece un discorso non particolarmente chiaro», il cui senso generale sarebbe consistito nella volontà di «escludere che qualcuno pensasse ad altre cause». Ma cosa lo avrebbe spinto su questa strada? Il medico legale non ha saputo dirlo con precisione: «È capitato più di una volta - ha dichiarato - che in contesti come quello un parente dicesse cose che poi si esauriscono nel nulla. Ma se si hanno sospetti di qualche tipo, più che il riscontro diagnostico viene disposta l’autopsia giudiziaria».