Primi passi per una Comunità solare anche a Imola
Ridurre i costi delle utenze di luce e gas, accedere alle fonti rinnovabili e diminuire i livelli di Co2. Sono questi, tra gli altri, i motivi che portano alla realizzazione delle Comunità solari, associazioni no profit costituite da cittadini che «mettono insieme le energie» per vivere e costruire la propria Città solare in cui si rispetta l’ambiente e l’uomo. Un progetto di responsabilità sociale d’impresa per creare un’economia sostenibile di prossimità attraverso la condivisione dell’energia, nato all’Università di Bologna e condiviso con il Tecnopolo di Rimini. Apripista, nel Circondario ma non solo, è stata la comunità di Medicina, già attiva da circa 12 anni, di cui però fa parte anche il gruppo imolese.
Venti soci finora
L’obiettivo dei venti soci (ma il gruppo è più numeroso) è quello di costituire una Comunità solare anche a Imola, autonoma rispetto a Medicina. «Per attivarci questa è l’unica soluzione – commenta uno dei soci, Daniele Piani –. Al momento in città non esiste una Comunità solare, ma Imola ne avrebbe bisogno e in merito abbiamo già fatto diversi incontri con la cittadinanza. L’ideale sarebbe partire nei prossimi sei mesi. Prima però bisogna che il gestore dell’energia elettrica InRete, come fanno altri in varie parti d’Italia, ci conceda la possibilità di leggere ed elaborare i dati dei contatori. Su questo l’assessora all’ambiente del Comune di Imola, Elisa Spada, si è dichiarata disponibile a parlare con Hera per risolvere lo stallo, così come per incentivare ed evolvere ulteriormente le nostre iniziative».Ma cosa comporta far parte di una Comunità solare? «In sostanza avviene un interscambio di energia tra i soggetti che ne fanno parte – continua Piani – dove ci sono produttori e consumatori tutti però all’interno dello stesso territorio comunale. Chi, ad esempio, con i propri apparecchi si trova ad avere energia in eccesso, invece di cederla in rete al gestore, la può distribuire ad un altro socio della Comunità che la può così utilizzare a prezzo agevolato rispetto a quello di mercato».
Non si tratta, però, di uno scambio in denaro. «Dietro, infatti, ci sono motivazioni sociali ed etiche – conclude Piani –. Entrambi, infatti, ricevono un buono e l’idea è poterlo spendere in alcune delle attività del centro storico, così da promuovere i negozi di vicinato».