«La vita è imperfetta, non esiste la perfezione e la normalità; e nessuno può arrogarsi il diritto di stabilire cosa lo è o non lo è». Luca Trapanese, felice e innamorato papà di Alba, la bimba down che ha adottato nel 2018, sintetizza così la sua storia e, in parte, il suo primo romanzo Le nostre imperfezioni (Salani), che lunedì 21 presenterà alle 18 alla Biblioteca Malatestiana di Cesena in un incontro organizzato in collaborazione con Librerie Ubik. Trapanese è il primo caso in Italia di genitore omosessuale e single che ha avuto la possibilità di adottare una bambina affetta da sindrome di Down. Abbandonata appena nata dalla madre e rifiutata da numerosissime famiglie tradizionali, l’unico che si è proposto di farsi carico della piccola è stato proprio lui, un uomo per il quale la diversità è una possibile risorsa.
Oggi lui e Alba sono una famiglia a tutti gli effetti: si amano, si cercano, giocano, si sostengono, sono presenti l’uno per l’altro, ogni giorno, ogni notte, soprattutto quando non si dorme. Sono felici. La loro storia imperfetta ma piena d’amore è riuscita a entrare nei cuori di milioni di persone che li seguono sui social, utilizzati da Luca per mostrare a tutte e tutti che essere padri single di una bambina disabile, oltre che fattibile, è una possibilità di felicità e di crescita personale.
«È vero, siamo seguiti in tutto il mondo: il messaggio che piace di più – afferma – credo sia quello della paternità e della disabilità».
Ma non è semplice né immediato e scontato arrivare a questa consapevolezza: per raggiungerla occorre fare tanta strada , compiere tanti passi, come quelli consumati dal protagonista del libro con uno zaino in spalla sui sentieri spagnoli per raggiungere la tomba di San Giacomo, in Spagna.
La storia
Dicono che non serve una ragione precisa per compiere il
Cammino di Santiago e che per viverlo al meglio bisogna sapersi sorprendere ad ogni passo. In effetti Livio (il protagonista
ndr) non sa esattamente perché ha deciso di partire trascinando con sé due amiche ...Per consolidare la propria fede e prendere finalmente i voti? O per il motivo opposto, temporeggiare quanto basta per capire se è davvero quella la sua strada? Di certo ad animare le sue scelte è sempre stato l’amore per gli altri, una vocazione che lo ha portato molte volte in giro per il mondo, al fianco degli umili, degli ultimi. La risposta arriva nell’antico borgo di Portomarín e ha il volto di Pietro, un architetto dai tratti orientali e in sedia a rotelle, che si offre di accompagnarlo nella chiesa di San Nicola. I due diventano presto inseparabili e decidono di proseguire insieme per Compostela, fino a scoprire un’altra verità: il Cammino più importante non si fa a piedi, ma con il cuore.
Trapanese, partiamo dal Cammino di Santiago, dove si svolge la storia: lei l’ha fatto?
«Il libro parte con il
Cammino, che ho fatto due volte, ma parla di amore, malattia, diversità e omosessualità. Di certo il cammino rappresenta un momento di rivalutazione personale della propria vita e mette spesso di fronte ad altre verità. Così è successo al protagonista, Livio, così è accaduto a me».
Il romanzo è dunque autobiografico?
«In parte sì. Anch’io come il protagonista sul cammino ho incontrato una persona di cui mi sono innamorato e che mi ha permesso di arrivare alla mia scelta. Ero seminarista all’epoca, e quell’amore mi ha fatto capire che non sarei diventato sacerdote. Spesso facciamo programmi e progetti e pensiamo che siano il meglio per noi, poi la vita ci costringe a cambiare tutto, ma non è detto che sia peggio, a volte a sorpresa arrivano opportunità che ci portano da un’altra parte. La vita non è una favola e ti colpisce sempre alle spalle, ma lo stesso fa anche la felicità, arriva sempre da dove meno te l’aspetti».
Il libro si intitola “Le nostre imperfezioni”: quali sono e come accoglierle?
«La questione è semplice: siamo tutti imperfetti, ma proprio per questo unici e diversi. Non dobbiamo aspirare alla perfezione, non esiste, nessuno di noi la raggiunge. Una società che ci indirizza verso questo modello crea solo infelicità e frustrazione. Abbiamo messaggi troppo forti che ci arrivano anche dai social, tv e mass media, che ci inducono a pensare che se non siamo belli, sani, perfetti, con un bel fisico , un bel lavoro, una bella macchina, non siamo realizzati. Ma la vita non è così e alla fine questo ci fa sentire peggio. Non dobbiamo essere perfetti, ma felici».
L’imperfezione fisica però non si sceglie e non tutti hanno la forza, il sostegno e la capacità di sopportarla.
«La storia di Pietro è reale e per scrivere il romanzo mi sono ispirato a lui. Ecco, Pietro non ha mai pensato di essere uno sfigato o una persona sfortunata, ha fatto di tutto affinché la sua condizione fosse un’opportunità. Non è detto che una persona su una sedie a rotelle sia meno felice di un’altra».
Ci racconta qualcosa di Alba?
«Lei è il mio orgoglio, è una potenza della natura, è determinata. L’ho scelta e la sua disabilità non mi ha spaventato. Per me lei va bene così».
Quanto ha contribuito la vostra storia sui social per sensibilizzare le persone sul tema delle disabilità? Quali riscontri ha avuto dalle persone che vi seguono?
«Ho scelto di essere sui social perché ho capito che poteva essere un’occasione per raccontare la disabilità e la famiglia, che può essere costituita anche da un padre omosessuale e da una bimba disabile, ma anche per testimoniare che la famiglia è amore e accoglienza. Non esistono solo i modelli tradizionali. Sono tanti quelli che mi ringraziano».