Loris Ceroni da Riolo a Sanremo insieme ad Anna Oxa

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Sul palco di Sanremo c’era anche il romagnolo Loris Ceroni, partito dal suo studio di registrazione Le Dune a Riolo Terme per dirigere l’orchestra per Anna Oxa, delle cui esecuzioni ha curato anche gli arrangiamenti.

«Avevo già fatto Sanremo con Anna Oxa nel 2011 – racconta Ceroni –, quando produssi l’album “Proxima”, poi due anni dopo con i Marta sui Tubi. Verso metà dicembre scorso, quando si è saputo che Anna era tra i concorrenti a Sanremo 2023, le ho mandato un messaggio di complimenti, e circa una settimana dopo lei mi ha chiamato per propormi di arrangiarla. Dal 23 dicembre all’11 gennaio, quando doveva essere consegnato il pezzo, ho lavorato senza sosta nemmeno per Natale e Capodanno, arrangiando il pezzo inedito “Sali”, poi successivamente anche gli archi della cover di “Un’emozione da poco”. Di quest’ultima avevamo fatto una versione più pop, ma lei non era convinta, perché voleva qualcosa di più “cinematico”, quindi l’abbiamo rifatta e le è piaciuta».

Anna Oxa viene descritta come una persona piuttosto difficile. Lei è d’accordo?

«Assolutamente no. I giornalisti dovrebbero limitarsi a parlare di musica, non di quel che succede, o non succede, fuori dal palco, come la presunta, falsa, lite con Madame, che posso assicurare non è successa, perché ero lì. Forse io sono di parte, ma secondo me Anna è la più grande cantante italiana. Sta lavorando sulla sua voce per usarla in modo nuovo, e può sembrare che urli, ma non è vero. Ricordiamoci di Demetrio Stratos».

Forse Sanremo non è il posto giusto per questo.

«Allora cos’è Sanremo? Non è il Festival della canzone italiana? A volte non c’è molto rispetto, ad esempio facendoci aspettare fino all’una di notte per esibirci. Secondo me dovrebbero far cantare tutti, poi proseguire la serata col resto».

Ci sarà anche un album a cui lavorerà con Anna Oxa?

«Al momento non è previsto. Adesso mixerò la cover per pubblicarla, poi vedremo».

Su quali altri progetti sta lavorando?

«Attualmente a Los Angeles e Miami per il mercato latino-americano, con artisti messicani e latini. Per quei mercati prima della pandemia avevo curato un album di evergreen italiane cantate in spagnolo da Francesco Renga».

Come è arrivato a guadagnarsi così tanta credibilità su quei mercati?

«Negli anni Ottanta feci la band che accompagnava Miguel Bosè, all’epoca una superstar mondiale, con cui ho lavorato cinque anni. Siccome avevo già il mio studio, gli chiesi una mano, e lui mi ospitò dieci giorni a casa sua a Madrid, prendendomi diversi appuntamenti con personaggi del mondo artistico spagnolo e latino. Con due di questi, in particolare, costituimmo un team e cominciammo a lavorare sul mercato latino».

Dal suo studio sono passati anche Roberto Vecchioni, gli Stadio, Mango, e altri: è difficile lavorare lontano dai centri del music business?

«Non particolarmente, tutti sono venuti volentieri. Solo quando si è trattato di lavorare con delle boyband messicane è stato difficile spostarle, e sono andato io».

Come è diventato musicista, e produttore?

«Mio padre era il cantastorie e fisarmonicista Leo Ceroni , colui che ha composto “Dai de valzer”, un vero inno del liscio romagnolo. Ho cominciato a studiare piano a otto anni, poi mi sono diplomato in contrabbasso. Sono entrato nell’Orchestra del Maggio Fiorentino, ma ho dato le dimissioni dopo soli sei mesi perché volevo fare pop e rock, e sono andato a Milano a fare il turnista. Era la fine degli anni Settanta quando sono partito in tour con Angelo Branduardi, poi con Stills, Nash & Young, con Gianni Togni e altri».

www.ledunerecording.com

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