Le belle recite al teatro Dante della Filodrammatica riccionese
La sera di domenica 10 marzo 1929, dopo una forzata interruzione dovuta alla cattiva stagione – i primi due mesi dell’anno, come abbiamo evidenziato nel precedente articolo di questa settimanale rubrica, saranno ricordati per il freddo intenso e le continue e abbondanti nevicate che si abbattono sulla riviera romagnola –, la Filodrammatica riccionese torna a calcare le scene del teatro Dante. «Dinanzi a un pubblico numeroso che applaudì con calore» – riferisce Il Popolo di Romagna il 13 marzo –, i bravi attori locali rappresentano Il dono del mattino, commedia in tre atti di Giovacchino Forzano (1883-1971).
La compagnia fa parte del Dopolavoro comunale, che a sua volta rientra sotto l’egida dell’OND, acronimo dell’Opera nazionale dopolavoro, un’istituzione che si occupa del tempo libero dei lavoratori e che ha come obiettivo il loro miglioramento «fisico, intellettuale e spirituale attraverso iniziative sportive, ricreative e culturali» (Il Popolo di Romagna, 17 novembre 1928). Lo scopo dell’OND, stando allo statuto, è di allontanare il lavoratore dall’osteria «dove si abbruttiva tra i fumi dell’alcool, la bestemmia e il turpiloquio; dove non di rado incontrava chi si prendeva cura di trascinarlo nel baratro del vizio e del disonore».
Il gruppo dei teatranti riccionesi, costituitasi nel 1927, è diretto da Iole Gastaldi e Gaetano Verna, due artisti di valore, apprezzati sia per la recitazione, arguta e composta, che per la direzione impressa ai lavori scenici, moderna e professionale. Nel cast si alternano vari interpreti e tra questi Giulia Urbinati, Isora Bernabei, Italia Papini, Maria Renzi, Eda Della Rosa, Gina Del Bianco, Amneris Rinaldi, Lina Ricci, Tonino Silvagni, Bruno Manti, Giovanni Mancini, Federico Pullè, Virgilio Della Rosa, Frangiotto Pullè, Mimmo Geminiani, Nello Leardini, Agostino Ughi, Ugo Ughi, Emilio Zanzani, Antonio Mulazzani, Vittorio Geminiani, Nicola Monticelli, Orlando Bernabè, Onorato Mulazzani e Giusto Righetti.
Dopo Il dono del mattino l’équipe artistica mette in calendario altre commedie riscuotendo sempre un ampio successo di pubblico e di critica. Ricordiamo le più gradite. Sabato 23 marzo va in scena Spighe d’oro, due atti di Carlo Maria De Angelis; domenica 24 marzo Il perfetto amore, tre atti di Roberto Bracco; domenica 28 aprile Il ladro, tre atti di Enrico Bernstein; domenica 19 maggio La maschera e il volto, grottesco in tre atti di Luigi Chiarelli; domenica 26 maggio La locandiera di Carlo Goldoni. Terminata la pausa estiva la Filodrammatica recupera il palcoscenico con un nuovo ciclo di recite: in ottobre rappresenta L’amico delle donne, cinque atti di Alessandro Dumas (figlio); in novembre Bufere, dramma di Sabatino Lopez e L’antenato, tre atti di Carlo Veneziani; in dicembre L’elogio del furto, tre atti di Dante Signorini.
Due aneddoti, tra i tanti che riguardano la encomiabile storia del teatro riccionese negli ultimi anni Venti del Novecento, meritano di essere menzionati: il primo ci consente di calarci nello spirito del tempo; il secondo di rilevare la genialità di un suo protagonista. Li citiamo in ordine. La sera del 23 marzo 1929, al termine del primo atto della commedia Spighe d’oro, il commissario prefettizio Sanzio Serafini sale sul palco e legge il «messaggio del Duce alle camicie nere» per la ricorrenza annuale della fondazione dei fasci. Alla lettura – riportano i giornali – «il pubblico saltò in piedi acclamando e gridando triplici alalà in nome di Benito Mussolini». La calorosa accoglienza fuori copione tributata al dispaccio induce un gruppetto di balilla e di piccole italiane, spronato dai genitori, a salire sul proscenio e a cantare «gli inni della Patria e della giovinezza fascista» (Il Popolo di Romagna, 30 marzo 1929). Terminato il rumoroso intermezzo musicale riprende il secondo atto della recita. Intromissioni “patriottiche” di questo genere si ripeteranno sovente durante i trattenimenti artistici, fino a diventare una componente abituale, seppure “folcloristica”, dello show: una sorta di spettacolo nello spettacolo.
Di tutt’altro genere invece il secondo episodio. Domenica 19 maggio 1929 viene rappresentata la farsa Bigin in Pretura. L’aspetto curioso di questa “burletta” sta nel fatto che il testo originale del commediografo Goffredo Galliani (1857-1933) è in dialetto bolognese, mentre quello recitato al teatro Dante è in dialetto riccionese. La traduzione e l’adattamento scenico del bozzetto è opera di Federico Pullè, che nelle vesti del protagonista comico riscuote scrosci di applausi. «Il lavoro – riferisce Il Popolo di Romagna il 25 maggio 1929 – suscitò ilarità calorosa e il pubblico si divertì durante l’esecuzione riuscitissima».