La “piccola città” tra i reticolati del campo di prigionia alleato
L’aeroporto di Miramare, subito dopo il passaggio del fronte, è adibito dalle truppe alleate a campo di concentramento per prigionieri di guerra. Il Garibaldino del 15 novembre 1945 parla di cinquantamila detenuti; il Giornale dell’Emilia, l’8 ottobre 1946, sostiene addirittura che ve ne siano ottantamila. Il “lager”, così viene comunemente chiamato il campo a dispetto della parola teutonica, è suddiviso in sette distinte aree chiamate parchi. Nel primo e nel secondo parco ci sono gli internati russi, in massima parte ucraini, ma anche estoni, lituani e lettoni; nel terzo, i tedeschi; nel quarto e nel quinto gli slavi, soprattutto cecoslovacchi e jugoslavi; nel sesto gli italiani; nel settimo un miscuglio di diverse nazionalità. Vicino al settore maschile ne esiste uno femminile, più piccolo, dove sono rinchiuse tedesche, cecoslovacche, polacche e jugoslave. Le italiane, un centinaio tra ausiliarie, collaborazioniste e sospette, si trovano a Riccione, fuori dal centro urbano, in un accampamento nei pressi della spiaggia. La sorveglianza è affidata, a turno, a inglesi, scozzesi e polacchi.
Il “lager” ha la fisionomia di una piccola città internazionale composta da una miriade di tende e di casupole in lamiera. C’è persino la chiesa. Tra i reticolati la vita non è del tutto malvagia. Alcuni trascorrono il tempo occupandosi di giardinaggio e di lavori artigianali; molti si dedicano ad attività sportive e musicali. C’è anche chi gode di una certa libertà: prigionieri fidati che svolgono le mansione di autisti, attendenti, operai specializzati o semplici manovali che si prestano a qualsiasi tipo di lavoro fuori dal recinto. Nonostante la «vita beata» non sono pochi quelli che tentano di scappare. Uscire dal «paradiso» di Miramare non è un’impresa ardua: la sorveglianza è blanda. Di notte, quando i grandi cancelli si chiudono, si aprono i passaggi scavati sotto i duplici reticolati di filo spinato. E una volta fuori – sostiene il Giornale dell’Emilia il 23 novembre 1946 – i fuggiaschi gironzolano come lupi furiosi e affamati nelle campagne creando panico tra la popolazione. Di tanto in tanto si ha notizia di stranieri, sprovvisti di documenti, fermati dalla questura o dai carabinieri nelle sale d’aspetto delle stazioni o durante i rastrellamenti nelle campagne del circondario.
Tra i prigionieri circola molto danaro e questo attira una folta schiera di individui senza scrupoli e commercianti improvvisati si arricchiscono praticando qualsiasi genere di baratto. In cambio di abiti civili, molto ambiti per tentare l’evasione, ai detenuti vengono chiesti indumenti militari e oggetti preziosi: anelli, catenine, orologi. Accanto a questo genere di mercato, prolifera la prostituzione. Il Giornale dell’Emilia, l’8 ottobre 1946, parla di «centinaia di donne di malaffare che infestano» la zona. Queste “eteree” si accampano nelle adiacenze delle baracche dei tedeschi, ritenendoli «molto più facoltosi e munifici degli altri».
Ogni tanto qualche retata della Military Police, coadiuvata da agenti italiani di Pubblica sicurezza, rispedisce ai paesi d’origine “squadroni” di lucciole. Ma una totale disinfestazione della zona, oltre ad essere impensabile, non è neppure opportuna: determinerebbe un pandemonio e proprio per evitare possibili sommosse “interne”, gli alleati chiudono un occhio sul traffico “esterno”. E così, nel buio della notte, a Miramare succede di tutto.
Di tutto succede anche sul litorale dove stazionano squillo di alto bordo, a disposizione di militari, avventurieri, borsari neri e sfaccendati. La stampa, portavoce delle lamentele dei cittadini, non fa differenza tra “segnorine” e prostitute e ogni giorno informa i propri lettori del “rimpatrio” di queste “donnine”, dando molto risalto ai blitz notturni delle forze dell’ordine. È soprattutto il Giornale dell’Emilia che tiene la cronaca di queste azioni lampo. Il 25 dicembre 1946 il quotidiano riporta la seguente cronachetta: «Rimini 24 dicembre. Qualche sera fa la Military Police, coadiuvata da agenti di PS e da carabinieri, procedeva al fermo di alcune donne che s’erano accampate a Miramare nei pressi del campo di concentramento dei prigionieri tedeschi. Quattordici erano le “pescate” che, tradotte a Forlì per accertamenti, saranno quanto prima avviate verso i rispettivi montagnosi luoghi di provenienza, da dove erano … discese. Ci consta che il numero di queste donnine che circolano nella zona è abbastanza rilevante; ciò è in contrasto col numero esiguo, che in ogni retata viene “pescato”. L’organizzazione di questa gente è impeccabile, se con tanta facilità riesce ad eludere i pur bravi “pescatori”». L’elenco dei rastrellamenti è lunghissimo anche nel 1947. Nei primi giorni di gennaio sono fermate «per ragioni di moralità» otto “callgirl” dai 20 ai 30 anni; provengono da Roma, Frosinone, Bari, Verona, Salerno, Bologna e Mantova; all’inizio di febbraio altre tre “etere” cadono nella rete della polizia: arrivano da Pesaro, Perugia e Bari; i primi di maggio ennesima «retata di donne» giunte da Fabriano, Terni, Corridonia e Cesenatico; in agosto altro rimpatrio di “squillo” originarie di Reggio Calabria, Civitavecchia, Belfiore e Perugia, tutte sui vent’anni (Giornale dell’Emilia, 15 gennaio 1947; 5 febbraio 1947; 6 maggio 1947; 20 agosto 1947).