La Nobel Annie Ernaux: l'aborto in tutte le Costituzioni europee

«Memoria, emancipazione, femminismo. Parole che fluttuano di bocca in bocca, di penna in penna mentre si ascolta Annie Ernaux. Quando il 6 ottobre scorso è stata annunciata la vittoria del premio Nobel per la letteratura assegnato all’autrice francese, il giro italiano per la promozione del documentario realizzato insieme al figlio David Ernaux – Briot era già stato fissato nelle sue tappe: dopo la partecipazione al Festival del cinema di Roma è stata la volta di Bologna. La XV edizione del festival Archivio Aperto, organizzato da Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna è dedicato alla riscoperta del patrimonio audiovisivo privato, familiare e amatoriale e Annie Ernaux e il figlio hanno presentato “Les années super8”: un montaggio dei loro filmini di famiglia girati a partire dagli anni ’70. Frammenti di vita quotidiana, viaggi, gite che si fanno testimonianza di una società in trasformazione.
Non capita tutti i giorni di incontrare un premio nobel, se poi questa figura coincide con quella di una tra le scrittrici che più si amano allora l’occasione assume contorni vicini a quelli di una fortunata casualità. Ed eccola incedere Annie Ernaux, entrare in sala col passo quieto dei suoi anni e gli occhi guizzanti del suo pensiero, profondo, paziente, combattivo, al servizio della quotidianità e allo stesso tempo delle cose grandi del mondo.
Raccontando come il processo di formazione della memoria è stato tradotto in immagini, realizzando questo progetto, la scrittrice francese ha spiegato: «Penso che il tempo sia l’elemento principale delle nostre vite, il processo della memoria si basa su ricordi personali, su fatti privati che in questo caso abbiamo messo insieme seguendo un ordine cronologico fino a diventate racconto della storia sociale».
Parlare di letteratura e di libri non è esattamente la priorità: quando si diventa un Nobel si assumono le sembianze di un paladino delle cause sociali, in questo caso di una paladina, anche se sempre Annie Ernaux nei suoi libri ha affrontato temi caldi della società contemporanea, tracciati con una scrittura essenziale e affilata: diritto all’aborto, emancipazione femminile, parità di genere, solitudine, piattezza nel matrimonio.
A proposito delle continue minacce al diritto d’aborto risponde: «Le donne hanno la possibilità di avere figli e questo dalla preistoria ha sempre dato fastidio agli uomini, il non poter controllare questo fatto. Ora questo desiderio di controllo da parte degli uomini non è così esplicito da un punto di vista freudiano ma agisce ancora nelle menti di qualcuno».
La pratica della scrittura ha aiutato Annie Ernaux ad attraversare un senso di vergogna, «senza mai risolverlo», sottolinea, dettato dalle umili origini: i genitori appartenevano alla classe proletaria e lei, studiando e diventando un’insegnate di lettere si è allontanata da quel mondo.
In apertura del libro “Il posto”, dedicato al padre, cita Jean Genet: «Scrivere è l’ultima risposta quando abbiamo tradito». Non sa cosa accadrà ora che ha vinto il Nobel: «Spero di poter continuare a fare quello che stavo facendo. Di certo continuerò la lotta per garantire i diritti delle donne, ho il desiderio che il diritto all’aborto diventi costituzionale sia in Francia che a livello europeo». Continuerà anche a tenere la sua posizione riguardo l’apertura delle frontiere e la necessità che l’Europa non diventi una fortezza ma che sia accessibile a chi ne ha bisogno.
Sul perché mantiene il cognome dell’ex marito risponde: «Ai tempi in cui mi sono sposata questa era la cosa più comune. Anni dopo, nel 1974, alla pubblicazione del mio primo libro “Gli armadi vuoti” avrei potuto scegliere diversamente ma a quel punto la decisione di mantenere il cognome Ernaux esprimeva proprio la nuova identità che avevo assunto, è stata anche una scelta di coraggio».

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