Farideh Mahdavi Damghani è una traduttrice persiana, cittadina onoraria di Ravenna: il suo incontro con Walter Della Monica ha segnato una svolta profonda nella sua vita e nella sua carriera, e ha stretto il suo legame con l’Italia e con la poesia italiana.
Come avvenne il suo primo incontro con Walter Della Monica, che lei definisce «buono e nobile, un umanista nel senso proprio della parola, desideroso di vivere secondo i più alti standard morali, onorevole, disponibile, umile, generoso e tanto gentile».
«La prima volta fu quando lui e la sua segretaria, Luisa Fiorentini, sua amica di lunga data e che egli considerava la sorella che non aveva mai avuto, vennero alla stazione di Ravenna per accogliermi come traduttrice persiana dell’anno 2001. Ero accompagnata da mio padre, mio marito e mio figlio. Quando scesi dal treno e li salutai erano così cordiali, affettuosi e felici di vedermi (dopo un intero anno di comunicazioni quotidiane via fax, cosa che nei successivi 15 anni divenne nostra abitudine) che io rimasi piacevolmente sbalordita e stupita da quanto fossero gentili. Era il 12 settembre 2001, e il giorno prima il mondo intero era rimasto scioccato dalla tragedia dell’11 settembre. Essere un’orientale e una musulmana non era nulla di cui essere contenti quel giorno... Anche se mio padre era un rinomato professore di Letteratura persiana all’Università di Harvard, mio marito era un degno pilota commerciale e io una nota traduttrice di centinaia di libri dall’Iran».
Su cosa si basava il vostro lavoro comune?
«Fin dall’inizio, mi chiarì che il suo unico pensiero, la sua unica aspirazione, il lavoro della sua vita era la speranza di reintegrare Dante nel suo giusto posto nel mondo moderno. E dopo Dante, altri poeti italiani del passato e del presente. In quel periodo stava già esaminando la possibilità di quanto lui ed io, collaborando, potessimo offrire ai nostri rispettivi paesi: avrei avuto il piacere e l’onore di presentare poeti italiani che non erano ancora conosciuti in Iran e, a sua volta, Walter avrebbe introdotto ai suoi concittadini l’Iran come “il regno della poesia e del misticismo”. Avrebbe mostrato agli abitanti della sua amata Ravenna come due paesi apparentemente lontani possano diventare uniti e alleati attraverso la cultura, la letteratura, la poesia e la traduzione. E, ultimo ma non meno importante, ci poteva essere una comprensione reciproca e un’amicizia solida».
Ha scritto che Della Monica era come un secondo padre per lei: in che modo?
«Mi chiamava molte volte, io lo chiamavo molte volte, e qualche volta il mio carissimo padre, che sapeva di questa profonda amicizia tra Walter e me, mi diceva con voce umile che gli dispiaceva che, vivendo a Filadelfia, non poteva aiutarmi tanto quanto Walter mi aiutava dall’Italia, e che dovevo considerare Walter come il mio secondo padre. Anche lui amava Walter come un fratello e Walter ricambiava quell’affetto. Walter ammirava mio padre per le grandi cose che faceva all’Università di Harvard per gli studenti post dottorato in Studi mediorientali. Avevano solo sei mesi di differenza, entrambi erano eruditi e generosi nella trasmissione della conoscenza agli altri».
Il vostro lavoro ha ricevuto molti riconoscimenti?
«Sì, e quando ricevevo l’ennesimo premio letterario dall’Italia o dal mio paese, Walter mi dava sempre tutti i meriti, facendosi sempre con umiltà, generosità e un movimento casuale della mano per dimostrare che non pensava di aver fatto nulla di utile, quando io e gli altri sapevamo perfettamente che era lui, e solo lui, che aveva compiuto l’opera più grande. Era sempre orgoglioso dei miei successi, e poco dopo già suggeriva un altro poeta da tradurre in farsi. E ancora una volta il nostro viaggio ricominciava».
Quale eredità ha lasciato?
«Credo fermamente che il 26 giugno, quando Walter è volato in paradiso, i poeti italiani del passato e tutti i grandi poeti del Novecento si siano trovati accanto al gioviale, sorridente e gentile don Fuschini per accogliere amichevolmente Walter in paradiso e accompagnarlo nel luogo presieduto dal sommo poeta, proprio come nel Canto IV dell’
Inferno, quando Virgilio portò Dante a incontrare i più grandi poeti dell’antichità. Lì, Walter Della Monica ha potuto sicuramente alzare gli occhi spirituali sul suo amato
poeta dei poeti e raggiungere quella certezza interiore di aver fatto più che abbastanza durante la sua vita sulla terra. Molto, molto più, di quanto tante altre persone nel mondo hanno fatto».