Questa è la magica notte di Lorenzo, Kruger, e dei suoi Nobraino, ai quali «ci voleva del sano vecchio tempo» prima di tornare assieme, a 10 anni di distanza dal loro Disco d’oro, con cui da Riccione sono esplosi in tutta la Penisola. Li ritroviamo a Cattolica, «proprio dove abbiamo cominciato – esordisce il frontman della band –. Il primo concerto lo abbiamo fatto in piazzale Primo Maggio».
Dopo 5 anni di silenzio e due concerti esplosivi a Bologna lo scorso marzo, la band si ricompone, per un tour estivo di successo ad alto tasso di energia: «Fino a qualche giorno fa abbiamo fatto le prove alla vecchia, vecchissima maniera. Ed è una roba bellissima».
Sembra che la vena e la voglia di fare un nuovo album ci siano tutte.
«La vena c’è di brutto! Vorremmo addirittura fare il nuovo album proprio a Cattolica, dove abbiamo preparato il nostro primissimo disco, stiamo facendo questo giochino di passi a ritroso rispetto al nostro percorso. Nel frattempo ognuno di noi ha continuato a fare cose, perché si erano innescati dei meccanismi che a parole non erano traducibili, quello che è avvenuto in questo lasso di tempo ha aiutato. Siamo diventati più saggi, se si vivesse per 300-400 anni la società sarebbe perfetta, e assumerebbe comportamenti più sostenibili a livello sociale, purtroppo moriamo troppo giovani!».
Per quando è prevista l’uscita?
«Pensiamo per la prossima primavera, ma dobbiamo ancora iniziare il lavoro, quindi andiamo cauti! Chi ha fatto con noi il primo disco è ancora nostro fan. Detto ciò, ci piacerebbe ricostruire certi ingredienti iniziali senza forzature, in maniera autentica».
Durante i concerti vi date molto al pubblico, si vocifera che questa sera all’Arena della Regina suonerete oltre 30 brani, e alcune delle vostre cover più amate. Che concerto ci attende?
«Siamo molto romagnoli in questo. Io per esempio sono cresciuto nell’albergo di famiglia, sia mia nonna che mio babbo passavano a dare triple porzioni di cibo ai clienti, se vai in altre parti d’Italia questa cosa non la trovi. Qui abbiamo basato sempre tutto sull’eccesso di generosità. I Nobraino hanno un po’ questo approccio, cerchiamo di dare allo sfinimento, bisogna mandarli via stracolmi».
Altre date in cantiere?
«Doveva essere un giro di prova e la prova è decisamente riuscita, per cui faremo altre due o tre date, con un finale a ottobre».
Nei vostri testi la fantasia è al comando: amore, ironia e musica vincono su tutto.
«Cerco sempre di tenermi lontano dai testi d’amore, poi in verità è inevitabile finirci in qualche maniera, magari spostando il punto di vista per poter avere una visuale originale. Principalmente scrivo testi che dopo migliaia di live non mi stufino, che siano oggetti resistenti. In modo che una canzone fatta di voce e orchestra sia un oggetto che resiste a ogni tipo di concerto e che quando la tieni in bocca ti piaccia, questo è il mio primo obiettivo».
Sono canzoni che raccontano di personaggi bizzarri e sognanti, in questo la terra d’origine quanta parte ha?
«In Romagna c’è quella dimensione dualistica che credo di avere: anche se non abito più a Riccione, gli anni della formazione li ho passati lì. Ero uno dei
flâneur invernali,
vitellone d’estate. Sono abitato da quella nostalgia dello starsene da soli al mare in inverno. Addirittura da adolescente nei mesi di chiusura dormivo nell’hotel in stile
Shining, per rimmergermi nell’abbuffata estiva a far le 4 di notte coi turisti. La dimensione poetica si scontra e incontra con quella goliardica, i romagnoli della riviera sono in bilico tra depressione invernale e frenesia estiva».
Il brano “Acufeni”, uscito a giungo, è un divertente inno al concerto perfetto.
«Anche se pop e leggero è molto ideologico. Tornare a live più fisici sarebbe quello che ci dovremmo auspicare. Perché c’è un po’ di fagocitazione da parte dei grandi eventi che si stanno mangiando il mercato. Molta parte del pubblico partecipa a concerti da 20mila persone, in cui quasi non vedi il palco, ascolti in lontananza la band, ed è come stare in una enorme disco. Qualche concerto del genere ci sta, ma bisognerebbe anche tornare a fare bagarre sotto al palco a qualche metro di distanza dagli artisti. Il cui raggio d’azione è limitato, al massimo possono coinvolgere qualche centinaio o migliaio di persone, di più è innaturale, per cui vogliamo tornare dentro quel campo energetico lì, più a misura d’uomo, dove noi cerchiamo di portare la vecchia ricetta della musica fatta a mano nel futuro».