Una novità che arriva al cuore è Il migliore, film del cesenate Paolo Santolini che celebra Marco Pantani (1970-2004). L’opera racconta Pantani attraverso «il racconto emozionale» di coloro che insieme a lui hanno condiviso giorni, anni, sentimenti. Si impara a conoscere il Panta attraverso il piccolo grande mondo che l’ha forgiato e gli è stato accanto nella sua breve vita. Voci empatiche e sincere di mamma Tonina, di babbo e sorella, degli amici del Club Magico Pantani, di compagni d’infanzia, del paterno dt Pino Roncucci/Giacobazzi, dell’avvocato Roberto Manzo, del pittore Pino Casali... Le parole si contaminano di immagini di presente e passato, affiorano dagli archivi, compresi quelli privati dell’amico “Califfo”. Splendide inquadrature di una Cesenatico innevata accompagnano le parole dell’amico che vede in sogno Marco che gli dice «il mio nome rivaluta». Frammenti di scalate memorabili e l’ultimo compleanno sereno, a ridere per il dono degli amici di una parrucca dai lunghi capelli. C’è un flash sulla grandiosa festa a Cesenatico dell’estate ’98, dopo la vittoria di Giro e Tour, e immagini del terribile 5 giugno 1999, fermato a Madonna di Campiglio per un valore di ematocrito eccessivo. Si sorride davanti al mondo semplice e allegro di Marco, la pesca, la preparazione alla caccia, il karaoke con l’amico Jumbo. Si tace davanti al volto di Marco serio, lucido, disincantato che affronta aule giudiziarie. Mamma Tonina cita il commento del figlio: «A Campiglio la Madonna non c’era, mi hanno fregato».
Il regista
Il cesenate Paolo Santolini (1963) dal 2000 vive a Roma; capitale che offre maggiori opportunità e città dove ha messo su famiglia, con l’autrice e sceneggiatrice napoletana Viola Rispoli (tra le fiction che ha firmato la serie
Doc) e i figli Arturo, 8, e Adriano, 6 anni. Prima però ha viaggiato tanto. Si è avvicinato all’arte della ripresa sul campo, da autodidatta, girando il mondo con Blady-Roversi per
Turisti per caso; si è quindi addentrato nel documentario, in quel «cinema del reale» che davvero lo appassiona. Dalla ricostruzione della cattura di Provenzano ai documentari su don Ciotti e Andrea Camilleri, passando dagli ospedali di Gino Strada in Afghanistan e Sudan, alle riprese nelle carceri, ha maturato un’esperienza vastissima e, aggiunge, «una capacità anche empatica di stare con tutte le persone diverse che ho incontrato».
Perché, Paolo, girare “Il migliore”?
«Lui era “il migliore”, dicono nel film, perché lo era davvero. La definizione più adatta per me è “the natural”, ossia la naturalezza dell’essere il migliore. L’amicizia che mi lega ad alcuni suoi amici storici, il loro coinvolgimento nella vicenda, mi hanno spinto a sentire che era necessario farlo. Ho scelto però una chiave antropologica, recandomi nei luoghi dove Marco è cresciuto, dando voce alle persone che davvero gli sono state accanto, persone per le quali la ferita è ancora aperta. Ho voluto realizzare un “filmino di famiglia” in modo autoriale, mettendo insieme ricordi emotivi presenti anche nei silenzi, negli sguardi, negli interni delle case che li abitano, per aiutare a comprendere chi fosse in realtà Marco e restituirlo così com’era. Inserisco anche un’intervista di Gianni Minà a cui Marco dice tante cose. “Credo negli uomini, nel momento in cui mi è stata messa addosso questa croce faccio fatica”».
Nella musica la vita dentro
Il migliore è un’opera curata, anche musicalmente, da artisti romagnoli e da maestranze di qualità. Fra i camei, spicca una struggente e inedita versione di Romagna mia cantata a cappella e realizzata da un sorprendente
John De Leo. I momenti più solari hanno le note dei fratelli
Francesco e Federico Montefiori. Il batterista americano
Billy Martin cura le centrate musiche originali, mentre l’esperta montatrice
Letizia Caudullo «è riuscita a ridurre cento ore di girato in cento minuti di film».