I trent'anni dalla strage di Capaci raccontati ai ragazzi
23 maggio 1992. Una data dolorosa, imprescindibile per conoscere la storia del nostro Paese, un giorno scalfito per sempre nel cuore degli italiani. Sono ormai trascorsi trent’anni dalla strage di Capaci, l’attentato con cui Cosa Nostra uccise il magistrato Giovanni Falcone e, con lui, la moglie e tre agenti della scorta. Quel giorno 500 chili di tritolo non devastarono solo un tratto dell’autostrada A29, ma segnarono anche il resto del Paese e tutto il mondo, che ne parlò a lungo attraverso titoli di giornali, servizi e inchieste. Ed ecco allora l’importanza di ricordare un episodio capace di sottolineare ieri, oggi e domani la necessità di una ferma battaglia contro la mafia e il suo potere tentacolato.
Risulta poi fondamentale far conoscere anche alle nuove generazioni quella data solo apparentemente lontana ma in grado di far risuonare la violenza che sconquassò in quegli anni l’Italia e al tempo stesso il valore di uomini che – consapevoli del rischio insito nella loro lavoro – non si sottrassero al proprio destino, combattendo fino all’ultimo per far prevalere le logiche della legge.
Tra i diversi titoli young dedicati al tema, da segnalare Siamo tutti Capaci. Falcone e Borsellino trent’anni dopo (Einaudi), scritto dal librario e attivista Rosario Esposito La Rossa (classe 1988), da anni in prima linea nel contrasto alla criminalità di Scampia e fondatore della Scugnizzeria, libreria ove i bambini del territorio si formano attraverso la letteratura, il teatro, lo sport. Nel suo libro, un professore di liceo invita gli studenti a scavare una fossa, che alla fine avrà le stesse dimensioni del cratere provocato dall’esplosione di Capaci. È questo l’episodio che fungerà da premessa alla gita presso i luoghi cardine degli anni della lotta tra Stato e mafia, un’esperienza che accompagnerà i ragazzi alla scoperta della vicenda umana, giudiziaria e civile di Falcone e Borsellino. Un testo pensato per lettori a partire dai 12 anni e teso a raccontare l’impegno dei due grandi magistrati antimafia e ad evidenziare la dimensione etica della memoria, nella consapevolezza che «le parole scritte sono ancora più importanti, perché non si cancellano con le stagioni che passano. Perché, tutto sommato, la penna può scrivere con le lacrime. Lacrime che non si seccano mai».
Uscito per la prima volta nel 2004 e ristampato quest’anno per Bur Rizzoli, Per questo mi chiamo Giovanni è invece il racconto intenso – dedicato a lettori a partire dai 12 anni – scritto da Luigi Garlando (classe 1962), firma di punta della “Gazzetta dello Sport”, con alle spalle numerose pubblicazioni dedicate alla narrativa per ragazzi.
Nel suo testo – uno dei libri più adottati nelle scuole italiane – il giornalista racconta di un bambino palermitano che – nel giorno del suo decimo compleanno – viene accompagnato dal padre attraverso le vie cittadine per scoprire come mai i genitori gli abbiano dato proprio quel nome. Tappa dopo tappa, quel giro diventa importante occasione di scoperta, attraverso i luoghi simbolo della vita di Falcone.
La narrazione si sviluppa quindi su un doppio piano, la passeggiata tra le vie palermitane – scopriamo anche che il padre, proprietario di un negozio di giochi, nel momento in cui si è opposto al pizzo si è visto il negozio esplodere “misteriosamente” – e il racconto biografico della vita di Falcone, dall’infanzia all’Accademia navale di Livorno, fino al tribunale di Palermo, al bunker di via Notarbartolo dove fu costretto a rintanarsi, al maxiprocesso del 1986, all’attentato alla villa Addaura al quale scampò nel 1989, fino ai tanti episodi che contraddistinsero la sua lotta contro le sanguinose dinamiche della mafia siciliana e al tremendo epilogo di quel 23 maggio. Nel libro prendono corpo le vittorie e le sconfitte del magistrato, il suo impegno e la sua morte, ed è proprio grazie alle parole del padre che il piccolo Giovanni comprende che la mafia è un mostro concreto, da combattere senza aspettare di crescere: le logiche della mafia si trovano anche a scuola, quando il bulletto Tonio obbliga i compagni a dargli i soldi e l’unico che si rifiuta si ritrova isolato e con un braccio rotto, la mafia è come un carciofo, dove ogni famiglia criminale è una foglia che si impone in un diverso quartiere della città. Il testo è poi impreziosito da una toccante intervista alla sorella di Falcone, Maria, che dopo 18 anni dall’uscita del libro, riflette sull’importanza di regalare una memoria storica ed etica ai più giovani, racconta chi era “l’uomo” dietro al magistrato e sottolinea ancora una volta la necessità di «fare ognuno la nostra parte, piccola o grande che sia».
«Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe».