I disturbi dell’udito: le cause nei bambini e negli adolescenti

Siamo abituati ad associare i problemi di udito alle persone anziane, non considerando che alcune patologie possono interessare anche i neonati, i bambini in età prescolare e i teenager in modalità molto differenti: «Per quanto riguarda la fascia neonatale – spiega il professor Claudio Vicini, Primario dell’U.O. di otorinolaringoiatria di Forlì e Faenza e Professore associato all’Università di Bologna e Ferrara – è fondamentale intercettare prima possibile i bambini che abbiano una significativa perdita di udito, attraverso lo screening con otoemissioni acustiche monitorate con metodi elettrofisiologici al momento della nascita».
In caso si dovessero sospettare delle ipoacusie, il bambino verrà seguito nel tempo: «Si passa successivamente a indagini ripetute e sofisticate per arrivare, eventualmente, alla certezza di un disturbo ipoacusico che può essere compensato con una protesi».
In base all’entità del danno rilevato è possibile intervenire anche in altri modi: «Accanto alle protesi, per una fase più avanzata della patologia, esistono gli impianti cocleari. Si tratta di piccoli dispositivi che stimolano le cellule sensoriali del sistema nervoso centrale e che permettono al bambino di percepire e di riconoscere i suoni. In ognuno dei due casi si ricorre sempre a un lavoro logopedico per rafforzare e stabilizzare il linguaggio». I risultati ottenuti negli ultimi anni sono eccellenti: «La maggior parte dei bambini sono inseriti interamente nella vita sociale e poi scolastica e la qualità della loro vita non è dissimile da quella dei loro coetanei normoudenti».
Un problema di udito nei bambini può sopraggiungere anche successivamente: «Negli anni ’30 all’ospedale di Forlì è stata introdotta l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria, complice il clima del nostro territorio, per gestire i piccoli pazienti adenoidei». A causa dell’umidità infatti, specie in inverno, adenoidi e tonsille diventano un problema molto diffuso nell’età infantile: «Nella maggior parte dei casi sono trattate medicalmente, attraverso farmaci o cure termali. Se gli esiti della terapia non sono soddisfacenti si può ricorrere a un drenaggio attraverso un tubicino nel timpano che consente alla cassa di ventilare e di evitare l’accumulo di liquidi che potrebbe sfociare in ipoacusia. Le adenoidi, con catarro o senza, assieme alle allergie, rappresentano le forme di patologia respiratoria più diffusa. Per la diagnosi di questo disturbo, lo “strumento” diagnostico d’elezione sono le mamme, le insegnanti e soprattutto le nonne».
E poi ci sono i disturbi di udito negli adolescenti: «I ragazzi arrivano alla nostra attenzione sempre troppo tardi. La fascia più ampia è quella che va dai 16 anni ai 25, che definisco “quelli dell’orecchio del sabato sera”. Quei giovani che passano ore ogni fine settimana sotto una cassa in discoteca e che magari, negli altri giorni, ascoltano musica ad alto volume con le cuffie, finendo per presentare ipoacusia e ronzii. Spesso raccontano di tornare a casa con la sensazione di avere le orecchie piene e con un rumore persistente. Di solito, la prima volta si recupera lo stato di normalità facilmente, la seconda volta un po’ meno fino ad arrivare a un danno permanente: che produce tra l’altro l’acufene. Si tratta di un vero e proprio trauma acustico trattabile con alcuni farmaci, ma con risultati molto variabili.
Questo è un dramma sommerso, di cui non si parla, che emerge troppo tardi e che può portare poi ad altre problematiche come difficoltà di concentrazione, ansia e depressione. Dopo il primo lockdown l’Ambulatorio di Forlì si è popolato di giovani con acufeni persistenti causati da abitudini nocive e deleterie per l’orecchio che non vengono modificate nemmeno davanti all’evidenza. In tutte le forme di ipoacusie che si sviluppano dall’età neonatale fino all’adolescenza esiste una predisposizione genetica. Questa però nei giovani adulti finisce per interfacciarsi con il contesto e con comportamenti errati e nocivi».