Andrea Sasdelli, in arte Giuseppe Giacobazzi, arriva sul palco del Masini di Faenza lunedì 6 dalla ore 21 (poi al teatro Alighieri, martedì 7 febbraio; il 14 marzo al Galli di Rimini; e infine il 21 e 22 maggio al Bonci di Cesena) con il nuovo spettacolo “Il pedone. Luci, ombre e colori di una vita qualunque”, per la regia di Carlo Negri che collabora anche ai testi. «In una società dove tutti sognano di essere dei pezzi pregiati, brilla il fascino della normalità» si legge nelle note.
Nato ad Alfonsine, Giacobazzi è noto al grande pubblico soprattutto per la partecipazione a “Zelig”, che lo ha lanciato come comico di grandissimo successo.
Che tipo di spettacolo è “Il pedone”?
«È uno spettacolo comico, innanzitutto, e lo spunto è la similitudine che c’è tra la nostra vita e i pezzi degli scacchi: noi siamo come i pedoni e viviamo in funzione di colui che deve vincere la partita».
Quindi c’è qualcuno che manovra le nostre vite?
«Per forza. Però io poi racconto tutte le cose che sono capitate, episodi di vita. È la storia di un gruppo di amici che si ritrova dopo tanti anni e vediamo come ci siamo evoluti: se da pedoni siamo diventati un pezzo superiore o se siamo rimasti, in fin dei conti, gli stessi pedoni che eravamo».
Una metafora delle varie fasi della vita, dei livelli che si possono raggiungere.
«Esatto. Io racconto sempre che volevo fare l’ingegnere meccanico, ma non ho finito le superiori. Quindi mi sono reso conto che dovevo intraprendere una strada diversa: quella decisamente non andava bene (ride, ndr)».
Una strada che le ha portato molto successo: probabilmente era quella giusta
«Probabilmente sì. Avevo un po’ di confusione allora, si vede».
A cosa è stato dovuto questo cambio di direzione?
«Il cambio di direzione c’è stato perché fondamentalmente andavo benissimo in italiano e storia, ma in matematica ero proprio negatissimo. E per fare l’ingegnere due calcoli bisognava farli! E lì mi sono reso conto che non era proprio il mio pane, nella maniera più assoluta. Quindi ho mollato e ho fatto altro. Ho lavorato per diciassette anni nel “magico mondo” della moda, ho fatto il cameriere. Poi a causa del mio maestro, mentore, amico fraterno Duilio Pizzocchi, che mi ha trascinato sul palco col “Costipanzo Show”, ho fatto la scelta di tentare. È andata bene».
Ne “Il pedone” troviamo un Giacobazzi un po’ diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere: è cambiato qualcosa?
«Sì: sto invecchiando (ride)».
Ma questa è una cosa positiva…
«Sì, è assolutamente positiva, però mi rendo conto che sto invecchiando, quindi mi piace fare dei salti nella memoria. Come ho sempre fatto, perché io poi fondamentalmente ho sempre raccontato la mia vita e mi sono reso conto che l’empatia che si crea col pubblico deriva proprio da quello. Perché, bene o male, quello che ho fatto io lo hanno fatto anche gli altri, per cui i ricordi sono simili da entrambe le parti. Ci si identifica facilmente con quello che racconto, perché, obiettivamente, le stupidaggini, il motorino, le critiche verso quello che ci circonda è una cosa che appartiene a tutti».
È diventato famoso raccontando in chiave comica caratteristiche, pregi e difetti dei romagnoli: che cosa pensa di loro e della Romagna?
«Io ne penso soltanto che bene! Perché d’altronde, essendo romagnolo, non posso che pensare bene dei romagnoli. Mi sono ancora simpatici, ecco! Ma sono assolutamente di parte, per cui non posso dire altro. Sono assolutamente innamorato della mia terra, nonostante io viva a Bologna da cinquant’anni. Però ho casa nel “triangolo delle Bermude” ravennate, ovvero Marina Romea, Casalborsetti e Porto Corsini, vado lì al mare da una vita, da quando ero piccolo e ho nel cuore i miei posti: Lugo è uno dei paesini che amo di più, dove ho abitato fino a nove anni. Sono molto legato ai miei luoghi».
Con i suoi spettacoli viene spesso a Ravenna, che è quasi la sua città natale: cosa significa per lei recitare a Ravenna?
«Tutti gli spettacoli li ho portati a Ravenna, all’Alighieri, che credo sia uno dei luoghi culto per quanto riguarda il teatro. Poi anche a Ravenna sono legatissimo. All’inizio, le prime volte che venivo, anche quando facevamo ancora il
Costipanzo, ed eravamo alle prime armi come comicità – “ignoranza dilagante” – avevamo sempre timore: si dice sempre “nemo propheta in patria”, invece io ho riscontrato che in patria sono molto benvoluto e questo mi fa molto ma molto piacere».
Ci si sente un po’ più scoperti a mettersi in pubblico nella propria città?
«Sì. Ogni due anni scrivi uno spettacolo nuovo e di conseguenza ormai vai a rovistare nei ricordi il più possibile, e per quanto sia, i ricordi sono tutti legati al territorio. Perché quando uno diventa vecchio fa così: comincia a ricordare i bei tempi, quando si stava meglio anche se si stava peggio. Che non è mica vero: eri solo più giovane! La visione totale della questione cambia radicalmente quando hai vent’anni e quando ne hai sessanta! Ma in ogni stagione devi trovare il meglio della stagione che stai vivendo. Poi ogni volta ci si rimette in gioco, quindi ogni volte che si debutta con uno spettacolo nuovo è un salto nel vuoto. Poi fortunatamente non mi hanno ancora picchiato, quindi…».