Frida Kahlo, a Riccione la vita tormentata di un'artista
Ha un mazzo di fiori in mano. Un vestito bianco. Siede su una piccola poltrona. I piedini non toccano il pavimento. Messico 1911. Frida ha appena quattro anni. Guarda il padre mentre le scatta una fotografia. L’intera, anche se breve, esistenza è ancora tutta da vivere: la poliomielite, l’incidente, gli amori, il dolore. Sorridente posa per Guillermo.
Così inizia la mostra fotografica Frida Kahlo, una vita per immagini, promossa dal Comune di Riccione, organizzata da Civita Mostre e Musei e Maggioli Cultura, a cura del collezionista Vincenzo Sanfo, visitabile a Villa Mussolini fino al 1° maggio.
Circa cento ritratti dell’artista messicana firmati dal padre e da alcuni dei nomi più noti dell’epoca, tra cui: Leo Matiz, Imogen Cunninghan, Edward Weston, Lucienne Bloch, Bernard Silbertein, Manule e Lola Alvarez Bravo, Nicholas Muray. Tra questi anche il gallerista Julien Levy che scattò a Frida poche ma molto intime fotografie. Tra le sale della villa lo scorrere dell’esistenza, tormentata fisicamente e psicologicamente, di questa artista eccezionale che è diventata con tenacia un’internazionale icona femminile. Sola, con il suo sguardo talvolta malinconico talvolta indomito, ora insieme ad amici, amiche, al celebre marito Diego Rivera e ad amanti.
In mostra fotografie, ma anche documenti: ad esempio il primo Manifesto della pittura rivoluzionaria di Breton e Rivera e alcune litografie di Tamayo. Un video permette al visitatore di immergersi in momenti rubati alla quotidianità dell’artista.
Scatti e documenti «che ho raccolto tra case d’asta, privati e gli eredi del fotografo Leo Matiz – racconta il curatore e collezionista Vincenzo Sanfo –, una ricerca difficile. Alcuni anni fa ho realizzato una mostra su Frida per la Biennale di Venezia, per quell’occasione sono andato in Messico con l’obiettivo di far uscire da Casa Azul il lascito di Diego Rivera». Circa ottanta opere riconosciute erano nel deposito della Fondazione Dolores Olmedo. L’erede di Dolores Olmedo, Lola, si era sempre rifiutata di far uscire dal Messico quelle tele e non voleva che nulla fosse toccato da Casa Azul. «Ho deciso di andare a Città del Messico, da Lola, ormai anziana. Sono riuscito a convincerla. Inoltre durante il restauro di una parte di Casa Azul, spostando un armadio, si è scoperta una stanza segreta. Mi hanno informato, sono andato subito. Si sono scoperti vestiti, gioielli, un diario, delle lettere e fotografie. Quella stanza era stata murata da Rivera per paura che quegli oggetti venissero dispersi. Trovare questo tesoro è stata un’emozione indescrivibile».
La collezione di fotografie di Sanfo si è così arricchita e la mostra ne è una testimonianza significativa. Frida bambina, Frida ragazza, Frida prima e dopo l’incidente. Abiti e ornamenti dal forte sapore messicano: capelli raccolti nell’iconica capigliatura, collane tribali e anelli etnici. Attorno a lei alcuni dei suoi dipinti, la rivoluzione messicana e la volontà di cambiare le sensibilità, di contrastare le convenzioni borghesi e la società maschilista. Negli occhi il dolore dell’infermità, ma anche la forza della sfida e la compostezza dell’accettazione. Eccola con il busto in gesso decorato con falce e martello e con il feto di quel bimbo che cercò di avere, ma che non nacque mai. Ed eccola infine sul letto di morte, dopo il peggioramento delle condizioni di salute, dopo l’amputazione della gamba e dopo che una broncopolmonite l’ha debilitata definitivamente.
Info: www.civita.art