Sostituire a simboli fuorilegge e a messaggi di odio, colorati disegni che parlano di cibo, di cura: quindi, di vita. Pier Paolo Spinazzé, in arte “Cibo”, da anni cancella svastiche e scritte violente dai muri della provincia di Verona: la sua street art, o come la definisce lui «arte pubblica», mira a restituire alla collettività spazi che altrimenti costituirebbero un’offesa per tanti, e una miseranda espressione del proprio vuoto per pochi.
A Forlimpopoli però Cibo non ha trovato svastiche da coprire, ma ha realizzato un grandissimo murale dedicato a Pellegrino Artusi e al suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”.
«Ad Artusi – spiega – ho dedicato un’opera sulla sua intuizione di dare attraverso il ricettario una dimensione nazionale alla cucina regionale, questo anche grazie alla raccolta di preparazioni che provenivano da cuochi e cuoche di casa in tutta Italia. Proprio per dare il massimo rilievo a questo omaggio, ho scelto di rappresentare la ricetta numero 7, quella dei “cappelletti all’uso di Romagna” che contraddistingue questo territorio e l’origine stessa di Artusi, ma anche la tradizione italiana della pasta ripiena. Così nel murale di piazzetta delle Staffette partigiane ho rappresentato gli ingredienti, la lavorazione della pasta, il modo di chiudere i cappelletti e poi di cuocerli: insomma ho disegnato la ricetta in maniera didascalica… istruzioni disegnate, per un piatto super classico!».
Come si è avvicinato ad Artusi?
«Anche più che in altre situazioni o per altre commissioni, ho studiato, ho letto l’autobiografia e il ricettario, proprio per cogliere e interpretare nel murale aspetti diversi dal solito. Spesso nel mio percorso precedente, per realizzare quello che volevo è stato sufficiente disegnare qualcosa di bello e gustoso. Ma questa era un’opera più impegnativa, e inoltre una sfida, visto che l’avrei realizzata nella patria stessa di Artusi!».
Fra questa realizzazione e quelle per cui è diventato famoso: cibi, alberi pieni di frutti con cui cancella svastiche c’è una grande differenza. Non le ha creato problemi?
«No, sono cose completamente diverse: quella di chi imbratta i muri non è politica, è crimine, e quindi non bisogna confrontarcisi né venire a compromessi. In quel caso, il mio è un intervento civico, l’attività di un cittadino che sa disegnare e restituisce alla comunità quello che sa fare».
Spesso del resto quei murales li realizza di comune accordo con le comunità.
«Spesso: non sempre. Però cerco sempre di motivare quello che faccio anche rappresentando prodotti del territorio secondo l’idea di un’arte pubblica. Poi non sempre si riesce a dialogare con chi abita nei luoghi dove intervengo. Ma l’importante è eliminare i messaggi d’odio: soprattutto vicino alle scuole o nei parchi pubblici».
Lei per il suo lavoro ha subito minacce e anche un attentato.
«E denunce: ne ho una pila alta così! Ma evidentemente i giudici ritengono che il mio lavoro sia utile, visto che non sono mai stato condannato. E infatti eccomi qui, con le mie bombolette!».