Forlì. Tatuaggi "riflessi", una nuova forma d'arte

Archivio

Basterebbe il nome assegnato, “Sindone art tatouage”, per indicare nelle tre lingue più conosciute (italiano, inglese e francese) l’attività per la quale ha chiesto alla Siae il riconoscimento. Una forma di arte legata al tatuaggio, a quella particolare fase della lavorazione nella quale il disegno viene “tamponato” con della carta o un tessuto di lino ed è possibile che rimanga impresso sul panno, proprio come il lenzuolo venerato dai fedeli cattolici con l’immagine di Gesù Cristo avvolto nel sudario. A registrare il logo alla Camera di commercio, dopo aver avuto dalla Siae, Società italiana degli autori ed editori, la certezza che fosse un’opera inedita, è stato Gabrio Tassinari, storico tatuatore forlivese, titolare di “Totem tattoo” in via Corridoni.

L’utilizzo

Una nuova forma di arte, anche se i dubbi sul possibile utilizzo di questi disegni rimasti impressi su carta o teli, hanno fatto perdere un buon archivio allo stesso Tassinari. «Ne avevo circa 300, non si capiva bene se ci fossero norme per l’utilizzo e così li ho buttati. Poi informandomi mi hanno detto che non c’erano problemi e così ho ripreso a conservarli. Adesso ne ho una trentina. Magari più avanti potrebbero diventare una mostra. Vedremo».

L’assegnazione

Intanto il fatto di essere il primo a registrare questo tipo di lavoro, dopo che la Siae ha attestato che nessuno prima di lui lo aveva fatto, gli ha dato il diritto a dare il nome a questa attività e Tassinari ha scelto “Sindone art tatouage”. D’ora in poi se qualcuno vorrà dilettarsi in questa attività dovrà chiamarla così. Ma come funziona? «Quando tatui normalmente hai un momento in cui – spiega Tassinari – verso la fine con la carta tamponi il disegno e questa assorbe i liquidi del tatuaggio, un po’ acqua e materiale biologico, pochissimo sangue. Non sempre, ma ogni tanto si vedeva che il tatuaggio rimaneva perfettamente impresso. Dalla carta lo mettevo in un sacchetto di plastica. Dalla carta sono passato a prendere il lino, proprio come la sindone. Mi sembrava un peccato buttarli. Ho pensato se si potevano vendere oppure mettere in mostra».

(L'articolo completo sul Corriere Romagna oggi in edicola)


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