Forlì, la fiumana improvvisa: il racconto del nostro giornalista: "Grazie a dieci angeli del fango"
Del mio piano interrato rimane ben poco. Ma se con la famiglia comincio ad intravedere la luce in fondo al tunnel, è grazie ai nostri inaspettati angeli del fango. Si tratta di una decina di persone fra amici, parenti attuali e futuri, cognati e comparrocchiani della Pianta, che a turno, sin dalle prime ore dell’alluvione si sono prodigati per tirarci fuori dal fango, in una gara di solidarietà impensabile. Anche se, a conti fatti, il nostro dramma non è assolutamente paragonabile a quanto vissuto da altre famiglie anche vicinissime a noi, che hanno perso tutto. Ma andiamo con ordine. La sera di martedì ero ancora tranquillo davanti alla tivù, intento a guardare una partita di calcio internazionale. Non sono mai stato un grande amante del tubo catodico, ma sono costretto all’inusitato gesto dall’inabilità forzata, conseguente all’intervento alla caviglia del 22 febbraio scorso. Mentre con un occhio guardavo le evoluzioni Champions, con l’altro scrutavo le piattaforme social: ai Romiti qualcuno era già nelle spire del Montone in piena. «Non arriverà mai da noi – dicevo fra me e me – siamo troppo lontani dal fiume». Fuori imperversa la pioggia, battente e senza tregua sin dalla mattina. Poi qualcuno sulla chat condominiale manda la foto che non volevi proprio vedere: il Montone senza controllo è già nella via adiacente. Un senso di impotenza ci assale. Tutti corrono in strada: la scia maleodorante ha già invaso la palazzina dietro la nostra, ma con poca spinta: il grosso delle acque si è infilato sotto il rivale della tangenziale e sta travolgendo ogni cosa. «Allora la scampiamo», pensiamo in coro. Io e Ari ci corichiamo nel divano del piano di sopra, cercando di riposare, ma anche di vigilare sugli eventi sottostanti. All’una di notte le fogne cedono per la spinta della fiumana. Si rimane insonni al piano di sopra, sperando di cavarcela con pochi centimetri. Alle sei è già un metro d’acqua. Addio al freezer, alla lavatrice, ai fumetti dell’infanzia, ai faldoni del primo lavoro, alle racchette da tennis. Fra i condomini scatta una solidarietà infinita. Persino quelli che abitano al secondo piano e hanno solo un posto auto all’esterno, gareggiano in fatica accanto a noi alluvionati. Arriva Walter con il primo dei generatori (ne seguiranno altri due). Non basta un giorno per liberare gli interrati dall’acqua. Una volta aperti i garage inizia la gara contro il fango. Le file di volontari si gonfiano assieme alle pareti in perlinato imbevute d’acqua. Al “capezzale” del nostro appartamento ancora sotto mutuo si assiepano gli amici: se Simone da Cesena, ingegnere elettronico, isola tutte le prese elettriche rimaste sott’acqua in attesa che si asciughino, l’Anto fa la spesa e la Mari cucina a casa sua per poi nutrirci d’asporto: tutti gli altri continuano a spalare fango. Il risultato è che a sera buona parte degli ambienti allagati (fino a 1,20 m di acqua) sono già ripuliti. Nel momento in cui scrivo è iniziata la conta dei danni, ma questa è già un’altra storia, dal finale scontato.