Emporio arte: Domenico Rambelli a 50 anni dalla morte
C inquant’anni fa la scomparsa di Domenico Rambelli (Pieve di Ponte 1886 – Roma 1972) l’artista appartenente a quella «generazione di fenomeni», parafrasando gli Stadio del 1991, raccolti dall’ultimo decennio dell’Ottocento agli anni venti del Novecento attorno alla figura carismatica di Domenico Baccarini, assieme a Ercole Drei, Riccardo Gatti, Giovanni Guerrini, Pietro Melandri, Francesco Nonni, Roberto Sella, Orazio Toschi e Giuseppe Ugonia. Nelle sue opere si rivela scultore portentoso, volumi e masse plasticamente giocati sull’efficacia espressiva ottenuta con quel processo di semplificazione e deformazione che caratterizzano il suo stile personale e inconfondibile, in grande anticipo sulla scultura di generazioni dopo di lui. Sono i monumenti dove Rambelli rivela la grandezza del suo genio. Dai “Caduti di Viareggio” in piazza Garibaldi, ideato con l’amico Lorenzo Viani, a quello di Brisighella, il fante che dorme, nel Parco delle Rimembranze, entrambi del 1927, al suo capolavoro assoluto dedicato a “Francesco Baracca” nella piazza centrale di Lugo di Romagna, inaugurato nel 1936, al “San Francesco d’Assisi che torna sulla terra” del 1951 nella basilica di Sant’Eugenio a Roma fino alla grande stele di marmo bianco eretta nel 1955 nel Cimitero dell’Osservanza di Faenza in memoria del giornalista perseguitato politico Giuseppe Donati morto in esilio a Parigi nel 1931. Tipico di Rambelli decidere dove posizionare i suoi monumenti sulla base delle caratteristiche del luogo, dell’ambiente e della vita pubblica a essi connessa, profondamente convinto della loro funzione sociale. Solo quello di Alfredo Oriani con la “caparela” simile a un’ala sollevata che ricorda l’impostazione della “portatrice” eseguita nel 1920, al quale lavora a partire dal 1959, ritrovato nel 1984, fuso nel 1987 e collocato in largo Toki a Faenza nel 1990, una sede non scelta dall’artista. Nel disegno, disciplina dove eccelle, Rambelli «pensa da scultore» scrive Annamaria Bernucci sul saggio che presenta la mostra riminese “Il volume del segno” dedicata all’opera grafica di Rambelli a Castel Sismondo nell’ambito di “Profili del mondo”, la seconda edizione della Biennale del disegno di Rimini, organizzata da Massimo Pulini. Un chiaroscuro magnifico, i contrasti meticolosamente ricercati fanno sì che le sue figure lievitino, si deformino, si semplifichino fino a diventare un progetto di scultura. Nell’autunno del 1919 Rambelli viene nominato da Gaetano Ballardini, fondatore del Mic, professore per l’insegnamento di Plastica decorativa e applicata alla Scuola di ceramica di Faenza appena inaugurata, oltre alla direzione dell’indirizzo artistico. Con i ceramisti celebri a disposizione la scelta di Rambelli, forse suggerita dall’amico Lorenzo Viani, sembra dettata, secondo la visione di Ballardini, dalla necessità di rimodernare la ceramica fuori dalla routine e i condizionamenti della specializzazione tecnica con un profondo rinnovamento stilistico mantenendo la tradizione faentina qualitativamente riconosciuta a livello internazionale. Compito che Rambelli assolve pienamente anche grazie ad Anselmo Bucci che lo affianca producendo all’inizio degli anni Venti bellissimi vasi con decorazioni di foglie di quercia in rilevo di estrema eleganza decò. A questi succedono altri vasi, ciotole e piatti in terracotta smaltata di nero di grandi dimensioni con decori dorati, potenti e arcaici come lo è la scultura di Rambelli, che non trovano riferimenti in alcuna tradizione ceramica.