«Da adolescente pensavo di voler andare lontano, di viaggiare tanto, di lasciare il borghetto di case tra campi e boschi in cui sono cresciuta, vicino a un paesino piccolo come Sant’Agata Feltria. Ho fatto il liceo linguistico a Novafeltria, mi sono iscritta a Giurisprudenza a Ravenna, mi preparavo a prendere la mia strada chissà dove. Però poi qualcosa, mentre scrivevo la tesi di laurea, mi ha fatto riflettere. Alla fine ho scelto di restare qui, a Rosciano, in questo paesino in cui la strada finisce, in cui non ci sono che una decina di case, campi, animali e alberi. E qui mi sento libera, mi sento me stessa. A casa». Debora Peruzzi ha 33 anni, due bambini, un marito e un agriturismo con tanto di camere per gli ospiti, fattoria e campi agricoli che gestisce insieme ai genitori. Si chiama “La sequoia” e serve in tavola prodotti “a metro zero”, ricordano nell’agriturismo, realizzati con le materie prime provenienti dagli animali e dalle colture di Rosciano. In tempi in cui la maggior parte dei giovani abbandona la montagna attratta dalle luci e dalle comodità della città, Debora ha fatto una scelta controcorrente, della quale, però, non si dice pentita «proprio per niente».
Debora, è capitato che qualcuno criticasse la sua decisione, immaginando che con una laurea in scienze giuridiche avrebbe potuto ambire ad altro?
«Tantissimi. Mi dicevano “ma non è meglio che ti cerchi un posto di lavoro in un’azienda?”. Il famoso “posto fisso”. Però io, dopo la laurea, avevo fatto servizio civile in comune e per quanto mi fossi trovata bene, avevo capito che lavorare in un ufficio non mi soddisfaceva. Non era la mia strada. Allora ho pensato che l’agriturismo a Rosciano, con gli animali e i campi, poteva essere un’opportunità. Conoscevo bene le dinamiche della ristorazione, perché da quando mia mamma aprì l’agriturismo, nel 2004, l’ho sempre aiutata servendo ai tavoli. I miei genitori, però, mi hanno sempre lasciata libera, sia a me che a mio fratello. Desideravano che ci laureassimo, però non ci hanno mai fatto pressioni per indurci a portare avanti l’attività. Mai. Io, comunque, ero consapevole delle difficoltà e di quanto fosse dura la vita in un luogo sperduto, lontano dal paese e collegato con una strada in ghiaia e terra battuta, esposto alle calamità naturali di ogni tipo. Solo quest’anno abbiamo avuto due metri di neve che non si è sciolta per 40 giorni, siamo rimasti isolati e senza luce, poi l’alluvione con le frane che ci hanno di nuovo tagliato fuori per giorni. E poi sapevo bene che gestire un’azienda agricola non era facile. Non ci si può improvvisare».
Nel suo caso è stata sufficiente l’esperienza tramandata dalla famiglia?
«No. assolutamente. Molti pensano che il contadino stia seduto a guardare in campi con la camicia a scacchi e la pipa in bocca, ma non è così. Bisogna saperne “a pacchi”. Oggi c’è anche tantissima tecnologia, per via dei macchinari, spesso costosissimi. E bisogna saper fare anche il social media manager, per far conoscere la propria realtà e far sapere che esisti. (Debora, su Instagram è “mamma in fattoria”, ndr). Inoltre, oltre a conoscere le stagioni e le tecniche di agricoltura, bisogna saper gestire il denaro, perché certi mesi possono rendere e altri mesi possono non rendere nulla. Perché il raccolto può andare distrutto, perché gli animali sono esseri viventi e hanno tutte le necessità degli esseri viventi. Devono mangiare tutti i giorni, anche se tu hai la febbre e non ti puoi alzare dal letto. È stato fondamentale avere al mio fianco i miei genitori, mio zio, del quale poi ho rilevato la quota societaria, e mio marito, che pur lavorando alla Conad di Novafeltria mi dà una mano esagerata, sempre. Ha una gran passione, indispensabile per vivere qui, altrimenti a Rosciano non ci resti. Tutto ciò mi ha portato alla decisione di iscrivermi come coltivatrice diretta, facendo anche il corso per la fattoria didattica e avviare il centro estivo, che funziona tutt’ora. È successo nel 2009, a novembre, lo stesso anno in cui mi sono laureata, dopo quella fatidica tesi. Poi, siccome mancava una mucca da latte, la mia adorata nonna me ne regalò una. Molti non lo sanno, ma il bestiame ha costi elevati. La mia prima mucca, pur non essendo giovanissima e non di razza, costava circa 1.500 euro. Così ho iniziato a fare dei formaggi, che oggi servo quasi esclusivamente nell’agriturismo».
Ci sono stati momenti di scoraggiamento?
«Di difficoltà sì, tanti, a partire dal nevone del 2012, fino a quest’anno, quando siamo rimasti isolati ed ero molto preoccupata, avendo due bambini piccoli. Eppure non mi sono mai pentita della scelta fatta, mai. Da adolescente vivere qui era difficile, dipendevo sempre dai miei genitori per gli spostamenti, tutto era lontano, per ogni piccola cosa dovevo andare come minimo a Novafeltria, poi per uscire con gli amici e andare al mare era un viaggio. Oggi, però, qui mi sento libera, a casa. E poi, ad essere sincera, grazie alla E 45, Cesena è a mezz’ora da qui, e dopo le frane delle scorse settimane, il Comune ha sistemato la strada, allargandola, in attesa di asfaltarla con i fondi del Pnrr. Forse, proprio per via dell’isolamento e la pace di questo luogo, mi è capitato che alcune persone mi dicessero “sei fortunata, hai un posto che puoi chiamare casa”. E in effetti è così. E quando sento dire dalle persone che è uno spreco spendere soldi per la montagna, per “quattro case isolate” come noi, mi viene una gran rabbia, perché forse non si rendono conto che la montagna va curata, che altrimenti a valle è un disastro, e a curarla siamo noi che ci abitiamo».
Ultima domanda, perché La sequoia?
«Mio nonno, negli anni ‘70, era andato a coltivare come fattore le terre in altri poderi, ma ha sempre coltivato il sogno di tornare a Rosciano. Qui, infatti, ha piantato la piccola sequoia ricevuta in dono dall’Australia durante gli anni in cui fu costretto a lavorare fuori, custodita nel frattempo dentro a un grande vaso».