È l’arrivo del treno che sveglia la borgata dal suo secolare torpore
Sulle origini di Viserba – laboriosa “cittadina” che si adagia sul mare con i suoi alberghi e le sue mille attività commerciali legate al turismo dell’estate – nel 2001 abbiamo scritto Viserba nelle cronache della Belle époque. In questo libretto, edito da Panozzo, sono evidenziati i primi passi di «un piccolo centro balneare celebre per i suoi villini, la spiaggia morbida e vellutata e l’acqua potabile, abbondante e fine». Da allora abbiamo continuato a seminare articoli di storia viserbese su Ariminum, Il Resto del Carlino e Vis a vis. Ora, prendendo a piene mani il lungo e avvincente percorso di ricerca che abbiamo svolto, apriamo sul Corriere Romagna la settimanale rubrica «Viserba “Regina delle acque” tra Ottocento e Novecento», una raccolta di brani orientati sulle luci della «bella vita di spiaggia» e sulle ombre della «dura vita di tutti i giorni» di questo piccolo agglomerato urbano. Episodi di «vita vissuta» corredati di materiale iconografico proveniente dall’archivio storico e fotografico di Guido Pironi, appassionato collezionista impegnato da anni nella ricerca documentaria del territorio. Detto questo, inoltriamoci nella intrigante avventura balneare che si sviluppa sulla fascia costiera che lambisce l’antico borgo di Viserba. Partiamo da una data: il 10 gennaio 1889. Quel giorno, che segna l’inaugurazione della strada ferrata Ferrara-Ravenna-Rimini, il treno sosta per la prima volta nel minuscolo caseggiato del Comune di Rimini. Un evento clamoroso. Che scuoterà la frazione dal suo secolare torpore. Viserba, agli albori dell’ultima decade dell’Ottocento, è una borgata di 710 abitanti sparsi per il contado e di 86 concentrati nel paesino situato sulla strada Romea, «5 chilometri a maestro di Rimini»; il suo Oratorio è classificato ne La Romagna Geografia e Storia per l’Ing. Emilio Rosetti – volume edito nel 1894 – «succursale» della parrocchia di San Martino in Riparotta. «Alla Viserba» – così ci si esprimeva a quel tempo – prospera una fabbrica di cordami, considerata la più importante della Romagna, e abbinata a questa c’è una pilatura di riso. Due “industrie” che danno lavoro a un centinaio di operai. Con l’arrivo del convoglio ferroviario, canapa e riso vengono caricati in loco evitando di percorrere il lungo e sabbioso sentiero della Sacramora, unica via di comunicazione – sostiene nel 1893 Luigi Tonini nella sua Guida del Forestiere nella città di Rimini – per raggiungere la Stazione di Rimini. Su questa stradina si trova una sorgente d’acqua minerale «priva di sali ferrosi, ma carica di solfati e cloruri e con molto idrogeno carbonato». Fonte che prende il nome della località: Sacramora. Il treno che s’insinua nel litorale viserbese offre ai primi passeggeri dall’alto del suo binario – la linea ferrata si trova ad una altezza di oltre 3 metri dal livello del mare –, un susseguirsi di dune e di rigagnoli d’acqua piovana; un luogo deserto e inospitale, dove dominano i canneti e la più strana vegetazione selvatica. Una striscia di sabbia sfigurata da secoli di abbandono, da sempre ricettacolo di contrabbandieri e di loschi individui. Un luogo tanto appartato e selvaggio da essere utilizzato dal presidio militare per manovre e poligono di tiro. Tanta desolazione e squallore nonostante la moda dei bagni di mare abbia già da tempo attirato sulla spiaggia del capoluogo – a pochi chilometri da Viserba – frotte di forestieri. Dal 1843, infatti, con l’installazione del primo stabilimento balneare, Rimini ha iniziato la sua vicenda turistica, prima ad opera di privati cittadini, poi, dal 1869, direttamente dal Municipio (cfr. Manlio Masini, Radiografie di un primato, Frammenti della marina di Rimini a 150 anni dalla nascita del primo stabilimento balneare, Guaraldi, 1993). L’industria del forestiero – così è chiamata l’attività che fiorisce intorno ai bagni di mare – sta facendo passi da gigante e il fenomeno, pur essendo ancora riservato a pochi privilegiati con tanto danaro in tasca, sta conquistando sempre più la media e la piccola borghesia fino a diventare un’importante operazione economica e sociale. Così rilevante da indurre, il 30 agosto 1888, re Umberto I a visitare il grandioso stabilimento dei bagni di Rimini che con le sue sofisticate strutture igienico-sanitarie e idroterapiche ha fama di essere il primo in Italia. Torniamo a Viserba e al treno che l’attraversa. D’estate le carrozze ferroviarie, oltre ad imbarcare canapa e riso, scaricano di tanto in tanto anche qualche forestiero, che con fagotto in spalla e passo spedito se ne va verso il mare zigzagando tra le dune, sotto il sole cocente. Sono, questi, i primi bagnanti di Viserba: personaggi un po’ stravaganti e bizzarri, desiderosi di assaporare la natura allo stato brado e soprattutto di spendere poco o nulla. Emozioni ed esigenze, queste, che non possono essere soddisfatte a Rimini, nel capoluogo, dove i bagni di mare, oltre a costare un occhio della testa, devono sottostare a un rigido rituale di regole, sia in acqua che fuori. Regole che «alla Viserba» non esistono.