Due piedi raccontano Santiago: Luciano Murgia sul cammino dei sogni
È uno dei percorsi spirituali più antichi e celebrati al mondo, ricco di storia, bellezza e significati. È uno dei cammini che più di altri rappresenta un viaggio interiore, una sfida e un’opportunità per confrontarsi con se stessi. Se siete pronti, oggi lo affrontiamo con I cammini dei sogni. Due piedi raccontano le vie per Santiago (Edizioni dei Cammini, 2023), il libro in cui Luciano Murgia rivela l’esperienza che ha trasformato la sua vita: da giornalista un tempo tabagista e sedentario ad appassionato pellegrino. I cammini dei sogni sono la storia dei cinque “percorsi” di Santiago raccontati dall’autore sardo ma pesarese d'adozione, e dai suoi piedi partiti nella speranza, senza la certezza, di arrivare: il volume è stato presentato nei giorni scorsi a Passaggi festival.
Murgia, quando è partito per la prima volta con quale curiosità ha intrapreso il Cammino?
«A indirizzarmi a Santiago de Compostela sono stati alcuni indizi. Il primo, quando ho curato il libro che Alex Schwazer ha scritto per Mondadori (2011): nell’introduzione a Quelli che camminano Alex racconta che per preparare i Giochi Olimpici di Pechino 2008, dove ha vinto la medaglia d’oro nella 50 chilometri di marcia, ha iniziato la preparazione il 1° novembre 2007 e l’ha conclusa il 21 agosto 2008, marciando 800 chilometri al mese. “Più o meno quanto camminano i pellegrini che vanno a Santiago”. Il secondo indizio è arrivato tempo dopo, incontrando un amico, Francesco. “Ciao Luciano, mi sto preparando a fare il Cammino di Santiago”. Ho provato una sana invidia. Camminavo tutti i giorni, anche più di 15 chilometri, forse sarei potuto partire con lui, ma non mi sentivo pronto. Il giorno di Pasqua morì mia mamma, molto devota, in particolare alla Madonna di Fatima. Pensai che avrei dovuto dedicarle qualcosa di speciale».
Come ha concretizzato questo desiderio e con quali difficoltà?
«Ho continuato ad allenarmi e l’anno dopo sono partito. Avevo curiosità, ma soprattutto dubbi, ansie, timori. Sì, temevo di non farcela, perché una cosa è fare più di 30 chilometri per andare a Urbino, oppure farne altrettanti sul Monte San Bartolo, sapendo di tornare a casa, dove tutto era pronto, e un’altra è farlo in luoghi sconosciuti, dove tutto o quasi dipende da te: prima di tutto camminare con uno zaino pesante 6,5 chilogrammi, il 10 per 100 del mio peso di allora; poi cercare un ostello dove dormire, fare il letto con il sacco a pelo, lavarsi, curare il proprio corpo, in particolare piedi e gambe; infine trovare un luogo dove cenare. Cambia tutto. Confidavo di terminare in qualche maniera, dedicare il Cammino a mia mamma, tornare a casa e mettere in soffitta lo zaino, le scarpe e i bastoncini. Invece, come ha detto qualcuno, un Cammino tira l’altro. Ne ho completati cinque e desideravo di farne un altro, ma prima il Covid-19, poi l’avanzare dell’età, hanno deciso altrimenti».
Il Cammino per molti è un’esperienza religiosa, ma da anni sembra diventato una moda, un po’ criticata da chi invece l’affronta con fede: cosa si senta di dire?
«Solo in un’occasione mi hanno fatto pesare l’assenza della Fede. Non ho incontrato inquisitori, ma solo persone che come me erano dirette a Santiago de Compostela animate chi dalla religiosità chi da altri sentimenti. Durante il Cammino Francese ho camminato a lungo con un americano di nome – particolare curioso – Santiago che ogni sera cercava una chiesa per andare a Messa. Mai ha provato a forzarmi per andare con lui. Mai mi sono permesso di commentare le sue scelte. Ci siamo fatti grande compagnia. Si dice che la meta del Cammino sia il cammino stesso, non l’obiettivo. Noi l’abbiamo condiviso con gioia, sempre pronti ad aiutarci reciprocamente, a condividere tutto. Il penultimo giorno, ci siamo fermati a dodici chilometri da Santiago de Compostela. Erano le ore 15, potevamo proseguire e arrivare un due ore e mezza, ma l’amico texano aveva programmato di arrivare la mattina dopo e incontrare la moglie e la sorella, giunte dagli USA. Non ho avuto alcun dubbio ad assecondarlo, non mi è venuto in mente, neppure per un attimo, di salutarlo dopo tre settimane vissute insieme. In Cammino non mancano gli integralisti da “inizio alla fine”, pellegrini che partono dalla località più lontana e contestano quelli che definiscono “turigrini” da ultimi 100 chilometri. Ho risposto loro, in più occasioni: chi sono io per giudicarli? Che ne so perché hanno scelto di fare solo gli ultimi 100 e non hanno incominciato prima? Forse non hanno il tempo a disposizione necessario a completare un Cammino lungo. Magari non se la sentono fisicamente o in famiglia non accettano un’assenza così lunga. Il mio pensiero è semplice: il Cammino è di tutti. Anche di chi non trasporta lo zaino. A me è capitato di utilizzare Correos, le poste spagnole, per spedire lo zaino e di camminare con quello più leggero. Avevo problemi alla schiena e il fisioterapista spagnolo, molto bravo a consentirmi di arrivare a Santiago, aveva avvertito che altrimenti avrei rischiato di fermarmi».
Può descriverci, in breve, i suoi 5 cammini?
«Il mio primo Cammino, il Francese, è iniziato a Saint-Jean-Pied-de-Port, sotto i Pirenei, ed è lungo più di 800 chilometri. Sono partito il 14 maggio 2016 e arrivato il 13 giugno. Il secondo, il Portoghese della Costa, è incominciato a Porto il 19 maggio 2017. Sono arrivato il 29 maggio. Due giorni dopo ho raggiunto Ferrol e da lì sono partito il primo giugno percorrendo il Cammino Inglese, terminato il 3 giugno. È un cammino breve, immerso nella natura della splendida Galicia. Mi permetto di consigliarlo a chi vuole fare gli ultimi 100 chilometri del Francese per acquisire la Compostela, che certifica di avere fatto un Cammino. L’anno dopo, nel 2018, ho intrapreso la via che da Oviedo conduce a Santiago de Compostela sui sentieri del primo cammino, detto il Primitivo. Mi sono messo in strada il 6 settembre, sono arrivato il 18 settembre. A mio modesto parere, è il Cammino più difficile, ma anche il più appagante. Il giorno dopo mi sono diretto a Finisterre, all’oceano Atlantico, arrivando in tre giorni, sotto un diluvio. Se mi è concesso, evito di dire bombe d’acqua. Ci sono già troppe bombe in giro per il mondo».
Spaventano i chilometri da percorrere ogni giorno. Come affrontarli?
«Come ha scritto Paulo Coelho, lo scrittore brasiliano che il Cammino lo ha fatto e raccontato, “quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore”. Se l’ho fatto io – il primo a quasi sessantasette anni, l’ultimo prossimo ai settanta – possono farlo tutti. Basta volerlo, crederci, avere fiducia in sé stessi e, ovvio, un minimo di preparazione. Soprattutto, di non presentarsi alla partenza con scarpe nuove e uno zaino pesantissimo. Ho visto giovani tornare a casa devastati/e con i piedi devastati dalle vesciche causate dalle scarpe nuove. Un errore gravissimo. Le difficoltà non sono mancate, in diverse occasioni. Sono partito dopo avere ascoltato i consigli di Francesco e avere letto quelli di altri pellegrini. Il mio libro non è una guida, non vuole essere il racconto di un grillo parlante, che semmai sono due, visto che sono i piedi a raccontare le nostre esperienze, ma alcune cose mi permetto di ricordarle. E se chi leggerà il libro ne farà tesoro, sarò felice di avere aiutato altri amanti del cammino lento. Sono certo che saranno giorni ricchi di gioia, vissuti all’aria aperta, condivisi con altri che prima di mettersi in strada ci erano sconosciuti. Io posso ribadire quanto ho scritto: non cambierei un Cammino di Santiago dormendo talvolta – mi è capitato – dormendo su un materasso steso a terra con una vacanza gratis nel più bello e costoso villaggio turistico di un’isola esotica».
Cosa dire, invece, delle persone che ha incontrato?
«Ho conosciuto amici provenienti da ogni angolo del mondo. Siamo rimasti in contatto e scambiamo spesso ricordi, condividendo a distanza di tempo grandi emozioni. A fine aprile, a Milano ho incontrato Eamonn, amico irlandese conosciuto il primo giorno del Cammino Francese e salutato la mattina dopo. Giusto il tempo di una cena e una colazione insieme, presente anche Wasim, un altro irlandese. In vacanza in Italia con la moglie Fiona, abbiamo trascorso cinque ore insieme. È stato bellissimo. Fiona mi ha detto parole bellissime: “Eamonn non fa altro che parlare di te… Lucia no qua, Luciano là. Ma che bei sentimenti regala il Cammino”. Come non essere d’accordo con lei. A proposito: mi piacerebbe ritrovare un grande camminatore riminese conosciuto il 13 maggio, in una pizzeria di Saint-Jean-Pied-de-Port, ritrovato il 23 maggio prima a San Juan de Ortega, poi ad Agés, infine il 29 maggio 2017 a Santiago de Compostela, ma perso definitivamente di vista».
Cosa lascia Santiago?
«Non è facile esternare le emozioni intime provate in migliaia di chilometri percorsi tra Francia, Spagna e Portogallo. Posso solo dire che credo, ne sono convinto, di essere tornato persona migliore da Santiago de Compostela».
È più sfidante compiere il cammino cinque volte o trovare uno spunto per raccontare qualcosa di originale su questa esperienza?
«Sono stato ospite di Giovanni Filosa, un caro amico che cura una bella trasmissione televisiva su Tvrs. Mi ha detto che ha trovato geniale la mia idea di fare raccontare i Cammini ai miei piedi, ai quali ho dato nomi baschi, Ongi il sinistro, Etorri il destro. Im verità, ho letto molti libri sui Cammini di Santiago e nessun autore ha fatto parlare i principali protagonisti. Non so se si può definire un’idea geniale. Liberi di prendermi per un folle visionario, ma io, mentre cammino, con i miei piedi parlo davvero».