«Annulliamo le paure, annulliamo le incertezze, sincronizza il passo». Sono le parole del singolo “Allunga il passo” che esce oggi, autore il ventiduenne musicista santarcangiolese Davide Amati. Un messaggio potente di ripartenza che sembra scritto ora, in questo tempo sospeso, figlio delle chiusure e delle paure provocate dalla pandemia. Invece no, Amati ne ha anticipato le tematiche come un lampo di preveggenza. E anche sotto il profilo musicale le sue sonorità espresse alla chitarra sembrano voler dare uno scossone, gettarsi con un dirompente salto nel pop più autentico a cui imprime il suo stile avvolgente intriso di melodia e di grinta.
Lo ha inciso con le etichette UMa Records e Pirates ed è in distribuzione con Sony per ora su tutte le piattaforme digitali compresa Spotify. È il primo brano di un album che uscirà nel 2021, che è già pronto e sarà preceduto da altre anticipazioni nelle prossime settimane.
Intanto è stato scritto che «con lui un altro pop è possibile: una chitarra dolce come intro, un sospiro che dà il via ad un viaggio ritmico e melodico che esplode in un urlo di rabbia e gioia al tempo stesso. E dà spazio a un assolo di chitarra che non è virtuosismo ma momento liberatorio, in cui conta solo suonare».
Sì, suonare e precisamente la chitarra: un amore che nutre fin da quando era bambino e che ha sempre coltivato con un’evoluzione naturale come lui stesso racconta, anche se da piccolo, ha svelato, desiderava diventare calciatore e precisamente portiere.
«C’era una chitarra in casa, nessuno dei miei la suonava, io mi sono avvicinato spontaneamente. Tutto è stato molto naturale, da subito ho sentito che mi faceva stare bene. Ho iniziato a prendere lezioni ad otto anni circa e da allora non ho più smesso di suonare la chitarra con una passione che è sempre cresciuta. A 15 anni già facevo delle serate in cui mi esibivo suonando, improvvisando e cantando brani scritti da me. Il mio percorso è stato sempre molto naturale, con una evoluzione che mi ha seguito negli anni del Liceo e continua ancora oggi».
Dalle composizioni sono nati molti brani e questo non è il primo disco.
«Ho sempre composto tanto e ho fatto uscire due Ep su Youtube con brani composti da me per chitarra e voce con etichette indipendenti. Sono state esperienze molto positive. Dopo il liceo mi sono trasferito a Bologna e dopo circa due anni lì ho iniziato a scrivere il nuovo disco».
Però Santarcangelo resta un punto fermo.
«Più che un punto fermo. Io sono nato a Roma dove torno spesso ma è dall’infanzia che sono a Santarcangelo e la amo moltissimo. Questa è la città dove trovo la mia dimensione. Per me è fondamentale: per ritrovarmi, per rimettermi in pace con me stesso. Io mi sento assolutamente romagnolo».
Parliamo dell’album e del brano che esce oggi, registrato in parte a Santarcangelo e in parte a Brescia e a cui hanno collaborato degli amici musicisti.
«Si, è nato con musicisti e arrangiatori amici, quali Alessandro Olding e Luca Treno, che con me è anche produttore. E abbiamo scelto di uscire adesso con questo brano perché l’ho sentito giusto, carico, positivo, per me è un brano che guarda avanti, che tira in avanti».
Certo in questo momento è un bel messaggio, direi perfetto. Come sono nati i testi? Insieme alla musica o prima di essa?
«Solitamente i miei pezzi nascono insieme, chitarra e voce. Dalla mia vita vengono le ispirazioni che poi una canzone va a racchiudere. L’album attraverso i diversi brani che vi sono contenuti mette in collegamento varie parti di me. Quindi ci sono le mie luci, le mie ombre, le mie nostalgie, i miei sbalzi d’umore, io nei miei picchi. Nel brano che esce oggi è nata prima la musica, in maniera giocosa, improvvisando. Poi è venuto il testo che tocca guarda caso queste tematiche della ripartenza, della rinascita. Ma io l’ho scritto molto tempo prima dell’arrivo del virus e del lockdown. È curiosa e interessante questa coincidenza, certo non voluta, che mi ha fatto pensare. E la cosa può essere stimolante e positiva!».
Nel testo che ha una sua densità filosofica, si parla anche del tempo, che «non sta sopra, non sta sotto, come un nido sta nascosto». Quanto è importante il tempo per chi ha la vita intera davanti e come sfruttarlo al meglio?
«Per me quello del tempo è un tema molto importante, che sento tanto e non riesco a scollegarmi da esso, l’ho sempre vissuto e lo vivo con grandi slanci. Non mi sono fermato mai durante il primo lockdown e non mi fermo ora. Sì, la pandemia ha destabilizzato anche me ma la mia ricerca musicale e i miei approfondimenti vanno avanti. Certo traendo io ispirazione dagli incontri, dai viaggi, dalle relazioni insomma dalla vita vissuta, non vivo bene questi periodi di confinamento, ma ho cercato e cerco di trovare la mia dimensione. E quando scrivo quel momento è quasi senza tempo».
È il tempo della creazione che è come sospeso e talvolta porta ad anticipare problematiche attualissime.
«Sono sempre stato convinto che bisogna cercare di stare al passo, non ci si può fermare, io invito ad annullare paure e incertezze, a superare sventure e debolezze, a fare il primo passo, relazionarsi e aprirsi verso gli altri, per me è fondamentale».
Cosa c’è nel bagaglio musicale di Davide Amati, quali riferimenti?
«Musicalmente le suggestioni che mi porto dentro sono tantissime e riguardano autori stranieri in ambito jazz, rock, blues, psichedelia così come tanta canzone italiana, il miglior cantautorato da Pino Daniele a Lucio Dalla, sui cui testi mi concentro moltissimo. Sono riferimenti che si mischiano in me e mi arricchiscono».
Quale definizione di sé: cantautore o musicista?
«Troppo abusata la prima, preferisco musicista. Trovo sia più sobrio e che rispecchi di più il mio percorso».
E nel futuro cosa c’è? Quali sogni nel cassetto?
«Sogno di fare esperienze, lavorare con persone nuove, viaggiare, conoscere, trovare ispirazione da tutto questo. Sogno di suonare, scrivere e cantare tante altre canzoni, tirar fuori tanti altri dischi. In poche parole continuare a creare perché per me è una medicina».