Danza, la coreografa Silvia Gribaudi al teatro Galli di Rimini

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«Ogni mio spettacolo è figlio di un farsi delle domande e Monjour – parola che i francesi usano per descrivere un giorno strano, bello ma anche brutto – nasce dal chiedersi come stiamo nei diversi momenti del giorno in relazione con gli altri, come guardiamo l’altro in un giorno di spaesamento».

Sono parole con cui Silvia Gribaudi, coreografa e danzatrice torinese in scena il 3 aprile (ore 21) al teatro Galli, per la rassegna E’ bal, introduce il suo ultimo spettacolo Monjour, che definisce «un cartoon contemporaneo fatto di corpi in carne e ossa», dalla grande ricchezza drammaturgica ed espressiva, un po’ comico, un po’ acrobatico, un po’ poetico, dove non mancano i virtuosismi, né la messa in discussione dei codici, e domina uno straordinario e originale talento artistico.

Un’artista pluripremiata che è bene descritta dalla motivazione dell’ultimo riconoscimento, il Premio Hystrio 2021, attribuitole «per aver forgiato un linguaggio coreografico unico e originale, capace di rivoluzionare negli anni non solo la scena della danza contemporanea italiana e internazionale ma anche lo sguardo della critica e del pubblico più tradizionale, svelando per prima la meravigliosa imperfezione di un corpo libero in scena, allenato a infrangere con coraggio, sapienza e acuta ironia ogni barriera fisica e psicologica, ogni canone estetico e accademico».

È appena tornata dalla Francia dove ha presentato diversi spettacoli tra cui proprio “Monjour” al Théâtre de La Ville di Parigi, che esperienza è stata?

«È andata benissimo, è stato molto bello. Il pubblico francese è abituato a seguire artisti molto diversi tra loro, c’è molta apertura e questo fa bene al cuore».

Questo lavoro come i precedenti si basa sull’interazione col pubblico e cerca di capire l’interdipendenza tra questo e i performer.

«Per me è importante l’assemblea del teatro, la platea convive dentro lo spettacolo, il vero teatro sono le reazioni istintive del pubblico, di fastidio o di trascinamento, che servono a conoscerci, a capirci. Quando ci troviamo dentro certe emozioni come le viviamo insieme agli altri, che tipo di presenza siamo noi?».

Per questo la scheda dello spettacolo si apre con le parole di Grotowski: «Superare la frontiera tra me e te: arrivare a incontrarti, per non perderci più tra la folla»?

«Sì, e aggiunge che trovare un luogo in cui essere insieme è possibile e consisterà in una messa in vita gli uni con gli altri e il giorno santo diventerà possibile. Ecco il rito collettivo. Ma che tipo di presenza siamo noi? Teatro come platea e analisi delle reazioni sarà il prossimo step su cui mi piacerebbe lavorare».

Lo spettacolo muta con le diverse ambientazioni, dunque cosa accadrà al Galli?

«Questo lavoro è abbastanza strutturato ma certo prende forma in ogni luogo e si adatta ad esso. Lo staff tecnico è molto bravo ad attivare questi adattamenti. Nessuno spazio mi spaventa».

E che tipo di interazione tra lei e gli spettatori c’è in “Monjour”?

«Ripeto, per me il pubblico è molto importante ed è sempre un po’ protagonista. Questo spettacolo è impostato per far catturare l’attenzione anche dai disegni di Francesca Ghermandi e dalla complicità visiva di Matteo Maffesanti. Ogni quadro ha un inizio e una fine. Contestualmente c’è la mia voce che invita il pubblico a seguire ciò che accade sul palco e faccio domande, ad esempio cosa vuol dire essere entusiasti o che senso ha applaudire. Direi che è quasi un laboratorio, un workshop».

Quindi il pubblico segue questo doppio binario, della visione e dell’ascolto, ma lei sarà in scena accanto ai funambolici performer Riccardo Guratti, Timothée-Aina Meiffren, Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino e Fabio Magnani?

«Io improvviso. Sto molto in ascolto e agisco in relazione a come reagisce il pubblico. Parto dalla platea poi vado sul palco ma sto ancora cercando la mia posizione nello spazio. Cerco sempre un altro modo per esserci e cambierà anche a Rimini, sarà una sorpres».

Info: 0541 793811

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