Danza, la compagnia Mòra di Castellucci al Ravenna Festival

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“Ravenna festival” ospita la danza connessa al canto corale Znamenny del XVI secolo, quello sul quale è costruita “La nuova abitudine”, ultima creazione di Claudia Castellucci (già cofondatrice di Societas Raffaello Sanzio Cesena, Leone d’Argento alla Biennale Venezia 2020), per la sua compagnia Mòra; stasera alle 21.30 apre la rassegna di danza del Festival nella Basilica di San Vitale. Costruita a San Pietroburgo dove ha debuttato nel 2021, in sinergia con i canti Znamenny della chiesa Ortodossa russa, “La nuova abitudine” ha visto frenare il suo viaggio allo scoppio della guerra russo-ucraina che ha impedito al coro originale di uscire da San Pietroburgo. Il coro maschile di 8 elementi, a cappella, protagonista stasera, è “In Sacris” e proviene dalla bulgara Sofia. Tre danzatrici e tre danzatori compongono l’ensemble coreutico.

Castellucci, come cambia questa sua danza rispetto ai palcoscenici più classici in cui ha debuttato?

«È un ballo che non può essere semplicemente “traslocato”, ma entra in dialogo con l’architettura, anche per motivi profondi. Per questo la coreografia è stata appositamente ritoccata. Si basa su di una musica canonica poiché si rifà a modalità liturgiche che si avvalgono di ritmi ricorrenti e ciclici. Ed è una musica che ben si esprime attraverso movimenti anch’essi canonici tipici della processione, del circolo; si collocano perfettamente in un’architettura con archi, con insistenze ritmiche, tanto più in una chiesa, e in una chiesa bizantina che è l’origine di questi canti. Per questo portare “La nuova abitudine” a San Vitale, era un mio sogno, ed è stato accolto».

Come si svolge la sua creazione su questo palcoscenico?

«La platea è collocata nella navata circolare centrale della chiesa poligonale. Danzatori e coro si muovono sul presbiterio, i danzatori verso la platea, i coristi dietro all’altare, nell’area propria del coro. Sfruttiamo anche il matroneo che è più in alto, canto e voci partiranno dall’alto, all’interno di una chiesa dall’acustica molto buona, che ci permette di non utilizzare microfoni. Abbiamo aggiunto qualche movimento assegnato ai coristi, gesti piccoli e sobri. Sul fronte luci manteniamo una situazione non invasiva, priva di apparati, per non invadere la grandezza del luogo. Aggiungo che a San Vitale si crea una condizione unica; si guarda la danza, si ascolta la musica e, volgendo lo sguardo più in alto, ecco che entrano nella danza gli stessi mosaici, i colori, gli ori. Non può dirsi certo una semplice scenografia o, come si usa oggi, “location”, non è affatto una “location” questa! Siamo piuttosto noi a essere inclusi dentro questa architettura che è molto parlante, molto influente».

Cosa può dire dei canti russi e del coro?

«È vero che sono canti russo ortodossi, ma non dimentichiamo che hanno un’origine greca, di Bisanzio, e quindi è un po’ come riportarli a casa, dopo che hanno compiuto un lungo viaggio fino al Mare Baltico, attraversando il mar Nero e regioni adesso anche martoriate, oggi sono cantati nelle regioni balcaniche e quindi anche in quelle slave e in conflitto. Ucraina e Russia cantano questi canti anche se si combattono. La matrice dei canti Znamenny è dunque comune, la nostra è una versione che unisce la tradizione Bizantina del canto liturgico, con le tradizioni popolari rurali di campagna e di vita semplice».

Info: 0544 249244

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