Da autista di Bossi a parlamentare: storia di Gianluca Pini e della sua sfida (persa) con Matteo Salvini

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Prima di vestire i panni dell’imprenditore a tempo pieno nel mondo della ristorazione e di finire agli arresti nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Forlì per reati corruttivi, Gianluca Pini è stato un protagonista della scena politica romagnola tra Forlì e il Ravennate. Ha incarnato agli inizi degli anni Duemila il prototipo del leghista romagnolo della prima ora, fedelissimo di Umberto Bossi, poi “barbaro sognante” al fianco di Roberto Maroni, e infine nemico di Matteo Salvini, che lo batte e lo estromette dalla politica.

L’ascesa

Alfiere di una forza autonomista e federalista tutta rivolta agli interessi del Nord in contrapposizione a “Roma ladrona”, Pini, nato a Bologna nel 1973, con un diploma di perito industriale inizia la propria carriera come autista e responsabile della sicurezza di Umberto Bossi. Nel 2006 il salto di qualità con l’elezione in parlamento alla Camera, dove resterà per tre legislature fino al 2018. Negli stessi anni tiene salda nelle sue mani la segreteria della Lega Nord Romagna fino al 2015 muovendosi sui territori con piglio muscolare, selezionando una classe dirigente locale poco incline alla mediazione e ai toni pacati. Di quegli anni la festa della Lega Nord a Marina di Ravenna, evento di popolo più vicino alla Rustida che al glamour del modello imposto in seguito da Salvini a Milano Marittima. Dopo le esperienze nelle commissioni Affari esteri, politiche europee e nelle commissioni d’inchiesta sul rapimento e uccisione di Aldo Moro e in seguito sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, Gianluca Pini si concentra sulle elezioni comunali e nel 2016 costruisce a Ravenna con le forze del centrodestra la candidatura dell’allora sconosciuto Massimiliano Alberghini, capace di portare al ballottaggio il candidato favorito del centrosinistra Michele De Pascale.

Il declino

Poi di fronte alla svolta personalistica di Matteo Salvini che pensa a un partito su base nazionale e non più di ispirazione “nordista”, arriva la rottura e lo scontro. Al congresso leghista del 2017 Pini sostiene il candidato dell'area federalista e autonomista della Lega Nord, Gianni Fava, contro Salvini, ormai padrone incontrastato del Carroccio. Nello stesso anno viene assolto per bancarotta fraudolenta mentre prende un anno in appello con pena sospesa per reati fiscali. Fuori dai giochi, Pini non si arrende, non entra nella nuova Lega Salvini premier e nel 2020 chiede di poter utilizzare il simbolo della Lega Nord ormai messo in soffitta, e in più presenta ricorso. Una mossa giustificata dalla necessità di ritrovare il voto degli elettori, leghisti della prima ora, delusi dalla svolta salviniana. Richiesta non accolta dal partito e ricorso respinto dal tribunale di Milano nel 2022, poco prima delle elezioni politiche.

L’epilogo

Ormai imprenditore del settore alimentare a tempo pieno l’ex parlamentare mantiene salde relazioni romane nel partito e nei vari apparati dello Stato, scandagliate nel corso dell’inchiesta della procura di Forlì. Ma dell’indagine l’attuale parlamentare forlivese Jacopo Morrone, nonché segretario della Lega Salvini Premier appena riconfermato, non vuole parlare, a segnare una discontinuità rispetto al passato arrembante del Carroccio, in favore di un presente incarnato in una forza governativa che deve reggere l’urto dell’ascesa del partito della presidente Meloni, gli scricchiolii di Forza Italia, orfana del padre fondatore e preparare le elezioni Europee del 2024 e le Regionali del 2025.

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