Con Patti Smith la spiaggia di Cervia diventa Redondo Beach

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Nella musica contano le certezze: i fan vogliono i propri idoli allo stesso modo di come erano. C’era una piazza importante, domenica sera a Cervia, per accogliere Patti Smith, intramontabile icona del rock, nell’unica data in Romagna per una artista che ha attraversato più di mezzo secolo di rock’n’roll con lo stesso stile di sacerdotessa combattiva e le stesse parole di pace e fratellanza.

Patti si presenta in scena in una gremita piazza Garibaldi con un quartetto scelto: il suo primogenito 40enne Jackson Smith alla chitarra, il basso e voce Tony Shanahan, il batterista Seb Rochford. Volto scarno ma sorridente, addosso il consueto abito androgino, pioniera dell’anti genere in pantaloni, blazer, gilet neri e T-shirt bianca. Un outfit a cui non rinuncia nonostante il caldo la costringa a bere spesso. Da ragazza 75enne si prende un vezzo da figlia dei fiori, con treccine nella chioma grigia scompigliata.

In piazza una platea mista; fedelissimi ma anche giovani e ragazze che cantano a memoria i pezzi, e pure bambini, famiglie, a conferma di un tempo passato non invano.

Per un’ora e mezza Patti sorride, ringrazia, è grata, contenta, a suo agio nella provincia di mare, mare che citerà più volte. La scaletta racchiude un best of personale e della sua storia. Saluta con “Redondo Beach” degli esordi (1971) su un reggae scanzonato nonostante il tema drammatico di un amore fra due ragazze finito male. Continua con “Grateful”, poi introduce «parole che spingono all’unità, alla fratellanza, a sradicare la fame, a un meraviglioso piccolo momento di unità nel nome della musica». Arriva “Ghost dance” (1978) e l’atmosfera si accende di quei Settanta di battimani, di proclami, di mani alzate. Imbraccia la chitarra acustica e annuncia “My Blakean year” dedicato al poeta Wlliam Blake e ad agire «quando ci sente tristi e scoraggiati».

Arriva la cover di Dylan “The wicked messenger”, la sua autorevolezza cresce, la chitarra del suo Jackson pure; si diverte quando annuncia “Nine”, «regalo di compleanno per Jack Sparrow», con “Dancing barefoot” (1979) lascia la scena alle notevoli chitarra e basso. Voce autoritaria per la lunga “Beneath the Southern Cross” scritta dopo la morte di Fred Smith, in cui esorta alla vita nonostante «il pacchetto di gioie, dolori, lotte, amori», e concede spazio agli assoli dei suoi.

Poi la dolce “One too many mornings” di Bob Dylan «ascoltata a 15 anni, 60 anni fa, un altro secolo, ma la ricordo bene».

C’è anche spazio per “L’infinito” di Leopardi che recita con enfasi, e la sua storica “Pissing in a river”.

Il gran finale è sotto il palco a ballare con “Because the night” e “People have the power”. «Patti, Patti!» le urlano, ma c’è il Covid e l’icona va protetta. Sorride, alza le mani e un’auto la porta via.

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