Chef Riccardo Forapani che "libera" la cucina del territorio
MARANELLO. Nato a Mirandola, mamma cuoca e babbo meccanico, un destino che dunque poteva sembrare segnato: in cucina o in officina. Riccardo Forapani ha scelto la prima. Non guida supercar, ma ricorda bene di quando da ragazzino truccava il suo motorino per guadagnare un po’ di spinta e ripresa. A 35 anni ha un curriculum di chef maturato nel tempio della cucina che nasce emiliana e finisce sul tetto del mondo, l’Osteria Francescana di Massimo Bottura.
Lei è uno dei primi “ragazzi della famiglia Francescana” dove arrivò nel 2007. Quella cucina resta uno degli obiettivi di molti aspiranti chef e rappresenta al contempo uno dei massimi esempi di vivaio per giovani talenti. Come nacque per lei quell'incontro e cosa sortì?
«Mia moglie Licia, sapendo quanto lo ammiravo, scrisse a Massimo Bottura chiedendo un incontro per me. Mi rispose e mi accolse, mi raccontò del suo lavoro e mi fece vedere la Francescana. A fine incontro mi andava di lavorare lì. Io ero totalmente fuori di me, era il mio supereroe, in realtà lo è ancora, dissi sì e da lì sono volati 13 anni in un fiato. Con tutti i ragazzi che sono passati di lì siamo come una famiglia. Insieme abbiamo vissuto quello che credo capiti a un team della Ferrari quando vince una gara o un mondiale. La condivisione fra tempo e passione è talmente alta che alla fine ci si fonde gli uni con gli altri. Massimo è sempre stato capace di tirare fuori il meglio delle persone, quello che realmente sono. Quando riesci a far esprimere una persona è lì che lei dà il meglio di sé. Prima della cucina si affrontano le emozioni, il pensiero, la magia della Francescana credo sia proprio il modo di essere, pensare, vedere le cose, far sì che le persone rivelino quello che sono davvero, le loro idee. Ad esempio la frittata è sempre stata fatta così? Io l’ho vista in un modo nuovo e l’ho fatta diventare un creme caramel».
Dal fine dining alla cucina di dimensione più territoriale e “modenese” del Cavallino. Ma “cucina tradizionale emiliana” cosa significa per lei?
«Lavoravo in Francescana da 13 quando si è presentata questa occasione. Sono di Mirandola, quindi modenese, e mi sono trovato fra due realtà così importanti della mia terra, la più bella al mondo. Era un progetto nuovo e come tale anche un po’ un salto nel buio, bisognava dare una forma a questo posto e al contempo salvaguardarne la storia che chi viene qui per forza cerca. Quindi abbiamo pensato a un locale che inequivocabilmente vuole essere di ispirazione tradizionale, che non vuol dire nostalgico. Perciò se voglio servire una frittata di cipolle le cambio consistenza: le uova, il Parmigiano Reggiano e la cipolla diventano una crema, la parte bruciata, il caramello, è un ristretto di brodo, l’aceto balsamico tradizionale di Modena la completa. Insomma dando alla frittata la forma di un creme caramel, do forza al mio territorio e allo stesso tempo sono libero».
Lei ama le cotture con l'utilizzo di fuoco e brace. Perché e cosa propone al Cavallino attraverso questo metodo di cottura?
«La cottura a fuoco diretto ogni volta dà il brivido di una vera e propria performance: aumenta la tua attenzione e mette alla prova la tua sensibilità perché c’è sempre un margine di rischio. Dove originariamente c’era la griglia, abbiamo messo quindi un forno alla brace Josper con cui sperimentiamo molto e che utilizziamo per molte preparazioni differenti dal risotto omaggio a Gualtiero Marchesi, al peperone alla brace ripieno, all’anguilla col piccione, fino ai babà».
È giovane eppure trasmette grande sicurezza ed empatia con questo luogo così carico di storia.
«Condivido il sentimento profondo degli emiliano romagnoli per l’artigianato, la cura dei dettagli, il cercare sempre la bellezza in quello che si fa, è la nostra forza. Uno chef oggi non ha solo il compito di cucinare ma ha tanti ragazzi da portare ogni giorno un passo più avanti perché saranno loro a dare un nuovo futuro a questo stesso mestiere».