Su di loro è stato aperto un fascicolo per omicidio colposo. Ora però all’orizzonte si staglia la possibilità che l’intera vicenda giudiziaria si chiuda con un’archiviazione, in assenza di responsabilità da parte delle indagate. Le due ostetriche (di 26 e 44 anni, residenti a Rimini e Faenza) sottoposte a indagini per la morte di Alessandro, il bambino per il quale era stato programmato il parto in casa poi nato morto in ospedale, potrebbero infatti venire del tutto scagionate dall’accusa nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari accolga la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero. L’autopsia eseguita sul corpicino del piccolo, affidata all’anatomopatologa Arianna Giorgetti dell’istituto di medicina legale di Bologna, non ha infatti messo in luce una correlazione diretta tra la condotta delle due professioniste e il tragico epilogo della gravidanza. A causare la morte di Alessandro sarebbe stata infatti una somma di fattori, tra cui l’infezione da streptococco di cui erano affetti (a loro insaputa) sia il piccolo che la madre, che avrebbero causato sofferenza fetale e di seguito il decesso. Così, in ordine al risultato dell’esame autoptico, la sostituto procuratore Annadomenica Gallucci ha formulato la richiesta di mettere da parte le accuse nei confronti delle due donne.
La vicenda
Dopo un lungo travaglio al domicilio, la partoriente era stata accompagnata all’Infermi (in automobile e non in ambulanza) dalle due ostetriche e dal marito, essendo trascorso molto tempo senza che il parto si avviasse alla fase conclusiva. Trentatré, nello specifico, sarebbero state le ore trascorse tra la rottura delle acque all’arrivo al Pronto soccorso. Purtroppo, poi, in ospedale il piccolo è uscito dall’utero materno già senza vita. Succedeva il 5 novembre dello scorso anno. Da quel momento sono scattate d’ufficio le indagini della Procura di Rimini, a cui è stato affidato il compito di ricostruire cosa avvenne davvero in quelle lunghe ore tra le contrazioni e il parto. Tra la casa in cui la mamma era pronta a dare alla luce il suo bambino, che pesava 4,195 chilogrammi, e la sala parto dell’ospedale. L’autopsia, a proposito, ha escluso che il peso del bimbo rappresentasse una controindicazione al parto in casa, anche se le dimensioni e la posizione cefalica hanno probabilmente inciso nell’allungare i tempi di travaglio. Per quanto riguarda le infezioni, nell’autopsia si precisa invece che essendo presenti da circa 24-36 ore rispetto al momento del decesso, non è possibile sapere con certezza se l’antibiotico avrebbe potuto scongiurare gli effetti negativi. Ancora, secondo l’autopsia, la durata del travaglio, l’orario dell’arrivo in ospedale, il mezzo di trasporto proprio anziché l’ambulanza e l’attività delle ostetriche di controllo dei parametri vitali non hanno determinato la morte del feto.
La sofferenza
«In questi mesi le indagate, pur consapevoli dell’adeguatezza della loro condotta – hanno dichiarato le avvocate Chiara Baiocchi e Martina Montanari – non hanno mai nascosto la loro sofferenza per il dramma familiare, pur supportate dalle numerose testimonianze di solidarietà di madri che avevano scelto di partorire con loro e che credevano nella loro professionalità». Durante la fase delle indagini, inoltre, l’ostetrica residente nel Faentino ha subito gravissimi danni a causa dell’alluvione. «È stata sfollata – riferiscono le legali – e senza più poter rientrare nella propria abitazione, della quale nulla si è salvato».