Una truffa, per così dire, “scolastica”, con importi milionari e nomi altisonanti; lo è quello del colosso dell’energia Eni e lo sono quelli delle banche frodate. E pure quello di Rosolino Bambini, l’ex manager 67enne dell’omonima azienda ravennate storicamente inserita nei trasporti marittimi, che ieri è stato condannato a due anni e tre mesi di reclusione. Per il giudice Andrea Chibelli c’era lui dietro il raggiro da 6 milioni di euro messo a punto con un sistema di fatture false per ottenere cospicui anticipi dagli istituti di credito. Il magistrato, nel stabilire una pena ancor superiore ai due anni chiesti dal vice procuratore onorario Katia Ravaioli, lo ha ritenuto responsabile tanto quanto l’addetto contabile della sua azienda, Francesco Lobascio, che per questi fatti nel 2020 ha patteggiato un anno e otto mesi.
La maxi truffa
Per l’accusa bastava spendere il nome del gruppo leader nel settore petrolifero e partner di lunga data della Bambini, per ottenere credito dalla Cassa di Ravenna, dal Credito Cooperativo Ravennate e dalla Cassa di Risparmio di Cesena. Di questi istituti, solo i primi due si sono costituiti parte civile, a fronte degli anticipi dati per l’ammontare di oltre 4,2 milioni di euro il primo e 1,6 milioni il secondo. Come emerso dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dal pm Stefano Stargiotti, le fatture mostrate dall’azienda come garanzia e spacciate per crediti non ancora incassati, in realtà erano false. La frode è emersa solo quando, nel maggio 2017, sono state le stesse banche a bussare alla porta di Eni, scoprendo che quegli importi erano già stati saldati da tempo alla Bambini, o addirittura si riferivano a servizi mai richiesti. Così sono finiti sotto la lente d’ingrandimento gli anni in cui Rosolino Bambini era presidente del cda e rappresentante legale dell’azienda.
La difesa contro le banche
Concordi circa l’esistenza di una truffa anche gli stessi difensori dell’imputato, gli avvocati Emanuele Fregola e Paola Bravi. «Il problema è che non l'ha commesso Rosolino Bambini - hanno esordito - ma Francesco Lobascio». Amico del manager, avrebbe avuto piena autonomia contabile, muovendosi «come un capetto» e organizzando «una macchiavellica architettura» facendo firmare a Bambini «plichi di distinte in bianco» che lui avrebbe compilato di suo pugno o girato direttamente alle banche, per garantire il flusso di denaro che gli assicurava «un posto da 80mila euro l’anno». Non mancano le frecciate agli stessi istituti di credito, che «ciechi, hanno guidato una Ferrari, senza vedere una situazione già palese nei bilanci depositati nelle camere di commercio». Accusate di aver «partecipato, sguazzato e guadagnato» da un sistema ben conosciuto dal contabile della Bambini, avrebbero continuato a «dare finanza allo scoperto per anni» nonostante la situazione di default.
Le banche: danno d’immagine
Concordi i legali dei due istituti nel ritenere che non solo l’imprenditore non poteva essere all’oscuro del raggiro, ma ne fosse «l'ideatore e l'esecutore materiale»; parole dell’avvocato Giorgio Guerra, per conto della Bcc, che ha chiesto 50mila euro di provvisionale. «Un danno enorme al tessuto imprenditoriale della provincia», ha tuonato l’avvocato Tommaso Guerini, chiedendo un danno d’immagine di 100mila euro per La Cassa. Conseguenze pesanti, per una truffa “scolastica”. E la Bambini oggi? Dopo il tracollo ha affrontato il concordato ed è ripartita con tutt’altra leadership. Il vecchio manager è solo un ricordo: licenziato quando scoppiò il caso, la difesa lo definisce «un uomo rovinato, parte lesa di questo processo».