“Alphabet et ultra” è il progetto dell’associazione culturale Nanou che ha portato a Ravenna, dal 17 al 30 luglio, tredici danzatori provenienti da tutto il mondo per un percorso di formazione e approfondimento coreutico gratuito, con l’obiettivo di trasmettere e divulgare la danza contemporanea di ricerca e fornire ai danzatori strumenti professionali di qualità.
Marco Valerio Amico, fondatore del Gruppo Nanou insieme a Rhuena Bracci e docente del percorso di formazione insieme a Monica Francia, Francesca Proia, Stefania Tansini e Daniele Albanese, racconta il progetto.
In cosa consiste “Alphabet et ultra”?
«Si tratta di trasmissione di ricerca coreografica; ogni anno viene fatta una chiamata pubblica per offrire una decina di borse di studio grazie al contributo della Fondazione del Monte e del Comune di Ravenna e con la collaborazione di E-production. Due settimane di lavoro, gratuite e con il rimborso delle spese, per approfondire il lavoro coreografico e il linguaggio di Nanou, ma soprattutto per costruire una ricerca professionale. Una cosa di cui vado molto orgoglioso è lo sguardo all’
accessibilità rivolto a professionisti che hanno voglia di approfondire pratiche importanti, ma senza sfruttarli per spettacoli o altro. Con la consapevolezza che trasmettere vuole dire prima di tutto mettersi in discussione: nell’osservare come l’allievo entra in dialogo con il nostro lavoro c’è una crescita, è un percorso transitivo». Da quanto tempo esiste?
«Il primo è stato nel 2019, poi nel ’20 è andato un po’ in sordina, chiaramente; nel ’21 e nel ’22 c’è stata una importante collaborazione con la Civica Scuola Paolo Grassi di Milano. È un progetto che fa ormai parte delle nostre attività in tutto e per tutto e, anzi, ha il desiderio di espandersi sempre di più. Sicuramente, come progettualità, si muove anche da Ravenna ma vorrebbe trovare in Ravenna un centro e una identità molto forte, anche di riferimento nazionale e internazionale».
Avete già idee per ulteriori sviluppi?
«Vorremmo raddoppiare l’appuntamento, stiamo già ragionando perché l’anno prossimo ci siano due incontri. Poi chiaramente siamo in una fase in cui è molto importante anche girare con questo tipo di metodologia per poterla far conoscere e divulgare il più possibile. Grazie a questo tipo di lavoro, infatti, stiamo iniziando ad avere una riconoscibilità importante, per cui arrivano moltissime richieste di partecipazione di persone che, un po’ da tutto il mondo, riconoscono la qualità che stiamo offrendo. Una qualità particolare perché si tratta di metodologie basate su identità artistiche molto chiare e forti, non è solamente una tecnica».
Gli allievi seguono il percorso o sono ogni volta nuovi?
«Tendenzialmente sono tutti nuovi, però da quest’anno ci sono state parecchie richieste di ritorno, di ripresentarsi per approfondire e quindi questo secondo appuntamento che stiamo immaginando lo stiamo pensando proprio per fare un approfondimento. Una possibilità di stare un po’ di più insieme, di ripercorrere dei passaggi e di muoversi anche oltre, perché sappiamo che due settimane sono tante ma possono essere anche molto poche per un percorso di formazione».
Pensate di coinvolgere la città?
«Stiamo cercando di comprendere esattamente quale possa essere il formato, il modo, per condividere sempre di più con la città questa attività, proprio perché la danza ha la necessità di tornare a essere un oggetto quotidiano, da osservare e da attraversare, non solamente nella sua eccezionalità di spettacolo prestante e perfetto ma proprio nella sua attività, nel suo pensiero, nella sua elaborazione, nella sua convivialità. Il fatto poi che quest’anno ci sia stata per la prima volta richiesta da parte dei danzatori del territorio mi ha fatto molto piacere e vuol dire che siamo sulla strada giusta».