Tutti archiviati eccetto uno, che per essersi lasciato trasportare dallo spirito nostalgico degli anni neri della storia italiana alzando il braccio destro, dovrà ancora vedersela con la giustizia in separata sede. Per il resto, la sentenza pronunciata ieri in tribunale a Ravenna parla chiaro: commemorare Ettore Muti è lecito, e più nello specifico, riproporre il rito fascista della “chiamata al presente” non è reato. Così ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Andrea Galanti, di fatto chiudendo definitivamente l’indagine nei confronti di 31 partecipanti alla celebrazione annuale davanti al cimitero monumentale in memoria del gerarca fascista. Fra loro, esponenti di Forza Nuova e Associazione Arditi d’Italia, che il 23 agosto 2020 si sono ritrovati sulle sponde del Candiano, fra emblemi e simboli del regime fascista, riconducibile secondo un diffuso sentire - all’incitamento a odio razziale, violenza e discriminazioni di varia natura. Per la città, l’udienza di ieri rappresentava un caso giudiziario senza precedenti. Eppure il giudice, accogliendo in parte la stessa istanza della Procura, ha ravvisato che la manifestazione non abbia messo a repentaglio in concreto la tenuta dell’ordine costituzionale, trattandosi di una riunione pubblica autorizzata con una valenza commemorativa, e non un’adunata, bensì un semplice modo di essere e di pensare.
L’opposizione Antifascista
Contro la richiesta di archiviazione si era opposta la Consulta Provinciale Antifascista di Ravenna nella persona di Carlo Boldrini, figlio del partigiano Arrigo (scomparso nel 2008), alias comandante Bulow. Lo stesso erede dell’eroe della Resistenza, nell’autunno del 2020 aveva affidato all’avvocato Andrea Maestri il mandato per un esposto contro la manifestazione avvenuta nell’agosto precedente, lamentando la violazione dell’articolo 2 della Legge Mancino. Una sollecitazione accolta dalla Procura ravennate, che avviate le indagini identificò gran parte dei circa 50 presenti, perlopiù aderenti alla “Rete per un blocco nazionale”, nata dalla scissione tra FN e Anai, e radunatisi di fronte al Monumento al Marinaio. Concluse le indagini, dal terzo piano del palazzo di giustizia era arrivata la richiesta di archiviazione, dovuta al fatto che non fosse possibile cogliere quanti e chi, fra i presenti avessero preso parte al “coro”. Ieri, durante quasi due ore di discussione in corte d’assise a Ravenna, l’avvocato Maestri ha chiesto al giudice di disporre l’imputazione coatta, producendo la sentenza con la quale il tribunale di Milano si è pronunciato con la condanna per un caso ritenuto «sovrapponibile» a quello ravennate, parlando di «evento celebrativo per alimentare la propaganda e il proselitismo neofascista».
La difesa: «Un diritto legittimo»
Soddisfatto invece l’avvocato Francesco Minutillo, tra i legali degli indagati: «Con la chiara e netta pronuncia di oggi del gip di Ravenna giunge finalmente la incontrovertibile attestazione giudiziaria della legittimità del diritto di pregare per l'anima della Medaglia d'oro Ettore Muti e di farlo rispondendo
Presente. Il mio augurio è che la pronuncia di oggi riconcili e rassereni oltre che la vita anche civile di Ravenna anche la Consulta Antifascista: la pietà per un defunto non può e non deve essere motivo né di divisione né di preoccupazione».