Ravenna, cold case Minguzzi: nuova perizia fonica sulle voci del ricattatore

Alfonsine

Due le voci registrate. Una ignota, l’altra nota. Il nodo da sciogliere è cruciale: appartengono alla stessa persona? Ripartirà da qui il processo in appello per l’omicidio di Pierpaolo Minguzzi, il 21enne di Alfonsine, carabiniere di leva a Bosco Mesola, rapito la notte tra il 20 e il 21 aprile del 1987 durante un periodo di licenza al rientro da un’uscita con la fidanzata. Il suo corpo riemerse il Primo maggio seguente dal Po di Volano, legato a una grata.

Le voci ora sotto inchiesta sono quelle delle intercettazioni dell’epoca. Le prime appartengono al telefonista anonimo che per 10 giorni tenne sotto scacco la famiglia di Pierpaolo chiedendo 300 milioni di lire per riconsegnare vivo ragazzo. Dovranno essere nuovamente comparate con quelle di un altro caso di sangue avvenuto tre mesi dopo: l’estorsione ai Contarini, altra famiglia di ricchi imprenditori dell’ortofrutta, ricattati e minacciati di fare la stessa fine dei Minguzzi. Al telefono, in quel caso, c’era Orazio Tasca, al tempo carabiniere nella caserma di Alfonsine. Fu arrestato insieme al commilitone Angelo Del Dotto e all’idraulico del paese Alfredo Tarroni alla consegna del denaro, e successivamente condannati a pene tra i 22 e i 25 anni per la sparatoria che in quell’occasione ferì a morte il carabiniere Sebastiano Vetrano.

Nell’87 i tre non furono mai indagati per la morte di Pierpaolo. Chiuso come irrisolto, il caso è stato riaperto nel 2018 con la riesumazione del corpo del 21enne, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Marilù Gattelli, che li ha portati a giudizio. Il 22 giugno del 2022 il processo in primo grado si è però concluso con l’assoluzione di tutti “per non aver commesso il fatto”, attribuendo l’uccisione del ragazzo a “un omicidio di stampo mafioso”.

A pesare nella sentenza assolutoria del tribunale di Ravenna è stata proprio la perizia fonica sulle bobine dell’epoca. Lo studio affidato al professor Luciano Romito, aveva escluso che la voce del telefonista anonimo del sequestro Minguzzi coincidesse con quella di Tasca, registrata nell’estorsione ai Contarini.

Di tutt’altro avviso, invece, la valutazione del consulente dell’accusa, l’ingegner Sergio Civino; il suo studio, condotto con metodologie diverse, aveva invece individuato una forte corrispondenza tra le due voci, nota e ignota, 2.884 volte più probabile della tesi opposta. Per questo, buona parte del ricorso presentato dalla Procura dopo l’assoluzione verteva proprio nella richiesta di un confronto negato in primo grado, criticando la metodologia adottata dal professor Romito e proponendo eventualmente una nuova perizia. Richiesta alla quale si erano associate le parti civili, la madre, il fratello e la sorella della vittima, tutelati dagli avvocati Luca Canella, Elisa Fabbri e Paolo Cristofori.

Prendendo atto della distanza tra i metodi utilizzati dai due esperti e i risultati contrapposti, la Corte felsinea ha affidato ai nuovi periti il compito di stabilire se la voce delle telefonate estorsive dei due casi coincidono, facendo di Tasca la chiave di volta del processo.

Voce particolare la sua. Accento di Gela, dunque siciliano così come la parlata dell’anonimo estorsore dei Minguzzi; caratteristiche, nella sua parlata, sono anche le storpiature dei cognomi. E guarda caso anche l’ignoto telefonista scivolò sulle consonanti durante una delle chiamate nei giorni della scomparsa di Pierpaolo: “Minguzzo”, “Pronto Contarino... Contarini... Minguzzi”, dettagli che spinsero il fratello di Pierpaolo a mettere in guardia il collega e amico dell’altra famiglia due mesi prima che iniziasse la successiva estorsione. Ebbene, anche durante l’udienza preliminare l’imputato - difeso dall’avvocato Luca Orsini - ha preso parola incappando negli stessi errori.

Dalla comparazione pende anche la sorte degli altri due imputati (Del Dotto tutelato dall’avvocato Gianluca Silenzi, Tarroni da Andrea Maestri). Per l’accusa, nell’87 avevano tutti bisogno di soldi per soddisfare stili di vita e spese al di sopra delle loro possibilità. Ma nel rapimento qualcosa andò storto fin dall’inizio, portando alla morte di Pierpaolo poche ore dopo il sequestro. Da qui l’idea di un “piano b” finito con un altro delitto e le manette.

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